Salvatore Tassa cuciniere
Di Serena Manzoni
Una delle cose che mi fanno amare il Molise è che ci sono molti spazi vuoti. Un paese, chilometri di nulla e poi un altro di quei paesi avvinghiati alla terra che sembra si sorreggano attraverso un equilibrio precario tra una collina, un campo e il cielo.
Difficile stabilire il confine tra paesaggio modellato dalla mano dell’uomo e quello naturale, probabilmente entrambi: a volte si può intravedere la natura che riprende spazio in un pezzo di terra non più coltivato
che ritorna testardamente bosco. Il bosco stesso un paesaggio che l’uomo ha forgiato, in cui ha vissuto e in cui ha lavorato, di cui si è cibato. Prendete la riserva MaB di Collemelluccio, in provincia di Isernia, e camminate come ho fatto io nell’umida terra d’autunno: ad ogni passo tracce dell’uomo e del suo operare. Lo spazio dei carbonai, il forno per fare la calce, la fonte per abbeverare il bestiame, i prati da pascolo.
Proprio partendo da qui vi voglio portare nel mio giro nel bosco, da una passeggiata in Alto Molise: gli alberi ancora indecisi tra il verde e i primi bagliori della nuova stagione, terra scura e grondante, un correre di caprioli, il rumore dei passi sul secco vegetale e il vento tra le foglie. In fondo vi voglio portare ancora la mia infanzia, fatta di prati di tarassaco e boschi, di passeggiate infinite con la nonna a trovare fiori e funghi. Per essere del tutto onesti, il segreto dei funghi era riservato a mio fratello mentre quello dei fiori era tutto per me, o forse ero io a prestare più attenzione all’argomento. Non sto parlando di camminate in alta montagna, ma dei boschi bassi, vicino casa, appena dopo il fiume. Prima di lasciare la Valle ho raccolto una ghianda, l’ho piantata ed è avvenuto il miracolo: sul terrazzino di casa, in un piccolo vasetto, un ramoscello insicuro con delle bellissime foglie di quercia a salutarmi al mattino. Nel pomeriggio di Collemelluccio tantissimi funghi di varie forme e colori, a gruppi o isolati, noti o sconosciuti, a formare piccoli agglomerati misteriosi o torri di guardia sul gran daffare dell’universo bosco.
Passa qualche tempo, nostalgia del bosco, della quotidianità del bosco: stiamo sempre a desiderare quello che non possiamo avere nell’immediato, fosse pure per provare un poco di malinconia o per avere sempre e comunque qualcosa di cui lamentarsi. Una mattina invece si parte. Dove andiamo? Nebbia del mattino che sale dal mare, escursione termica tra notte e giorno. Direzione nord, ma poi si va verso l’interno: Venafro e il cimitero di guerra francese, la Mainarde, paesaggio da seconda guerra mondiale e da mozzarelle di Bufala. Cassino e poi avanti verso la capitale, il paesaggio si fa più dolce… uscita Fiuggi, sbagliando strada assistiamo all’uscita di scuola dei giovani di Anagni, ma poi sicuri, puntiamo verso Acuto:
Siamo a casa di Salvatore Tassa cuciniere delle Colline Ciociare, siamo entrati nel bosco.
È una cucina da mangiare in silenzio per sentire il rumore di quello che assapori.
Nella sala non c’è musica, ma non c’è nemmeno silenzio: puoi sentire le tue parole, il vino che gorgoglia scendendo nel bicchiere, la croccantezza del grissino che mordi, il suono molle della spugna di cioccolato, il rompersi
quasi osseo della testa del gambero affumicato quando la succhi per sentire un’onda balsamica a sorprendere il palato. È una cucina da guardare con riconoscenza per vedere i colori di quello che assapori. Il verde dell’insalata di tarassaco e senape da condire rompendo l’arancione carico del rosso d’uovo posato sopra, il rosa scuro della carne servita tiepida sul ristretto bruno e caldo, le foglie delle erbe dove sono appoggiati ravioli albini cotti al vapore dove il verde si fa quasi viola e blu. È una cucina da raccontare per capire la concretezza artigiana di quello che assapori. Nei piatti si possono intuire allo stesso tempo il pensiero e le mani del cuciniere: alla carne viene lasciato un pezzo dello spago con cui è stata cotta, tutto il pasto è un andirivieni sapiente di caldo e di freddo per predisporre la bocca e il gusto a quel che segue.
Custode del bosco, con fare animale, Salvatore Tassa si avvicina di tanto in tanto al tavolo per informarsi su come proceda il pranzo ma anche per insegnare qualcosa della sua cucina con poche e non inutili parole. Uscendo raccolgo a terra un rametto di pino, sorrido e riconosco uno dei tanti verdi di questa buona passeggiata in un bosco.
Lettura consigliata: J. Giono, L’uomo che piantava gli alberi, pubblicato la prima volta nel 1953.
Serena Manzoni
Anche a costo di attirarmi gli strali di un certo tipo di persone che di cucina non ne capiscono nulla, devo dire che dal grande Tassa si mangia divinamente, io lo trovo un genio!
Certo, una persona “normale” non si può permettere di cenare o pranzare li’ molto spesso, è questo purtroppo è un dato di fatto ineludibile.
Ma voglio dire ancora di più, anche a rischio di farmi passare per uno “snob” quale non sono assolutamente: sconsiglio a chi non ha idea di cosa sia la cucina “vera” di andare in questo ristorante. Prima di andarci, sarebbe meglio iniziare un percorso nel gusto partendo “dal basso”. Chi è abituato alle pantagrueliche porzioni di certe mamme centro-meridionali… potrebbe sentirsi fuori posto.
In ogni caso lunga vita al Bravo Salvatore Tassa!
Credo sia alquanto complicato descrivere la cucina di Salvatore Tassa.
Di certo non è per tutti i palati (e… i portafogli), datemi pure del “classista”, ma credo sia così.
Credo che il migliore approccio da fare sia quello come il porsi di fronte a un opera d’arte, magari astratta o concettuale
per poi farsi portare a mente aperta, e senza troppo pensare dove l’autore (lo chef…) vuole…
Capisco che questo approccio non è per tutti, ed è forse un po’ cervellotico, ma credo che sia l’unico per capire questo “geniaccio”
Un artista dei fornelli (spero non si offenda) come Tassa, non è per tutti i palati, perdonatemi il “classismo”.
Non perchè tassa cucini cose impossibili, ma semplicemente perchè la sua cucina è davvero “erudita” in tutti i sensi…
Purtroppo in Italia visto l’avanzante incapacità di trovare (anche tra chi ha concluso studi universitari e titoli superiori)
qualcuno che conosca il significato della parola “cultura”, inteso nel senso generale della cosa, ci porta al paradosso che
questo geniaccio di Acuto, abbia ben più gloria lontano dal suo nido.
Complimenti alla (per me sconosciuta) blogger serena manzoni per avere interpretato con poche e semplici parole
una cucina (e il suo cuciniere) di cui l’Italia ( e non solo noi Ciociari) tutta deve essere ben fiera!
…sei proprio un’artista, cara Serena!!