Ovvero della nostalgia.
Di Serena Manzoni,
Vi siete mai chiesti che fine abbiano fatto i mandarini?
Provate a chiedere ad un bambino se abbia mai assaggiato un mandarino, sono quasi sicura che vi dirà di no.
Provate ora a trovare e comprare dei mandarini, impresa da libro di Jules Verne, i mandarini sono da diversi anni praticamente scomparsi dai banchi dei mercati e di supermercati, letteralmente soppiantati dalle più simpatiche clementine!
Nulla contro le tondette clementine, più affabili e rassicuranti già dal nome, femminili di quella femminilità un po’ zuccherina, mansueta.
Laddove la coltura del mandarino vanta una tradizione di millenni a partire da Cina e Giappone, la clementina ha una nascita più nebulosa (Cina? Algeria?), dovrebbe essere un incrocio senza semi o quasi tra il mandarino e l’arancio, ma non la giudichiamo per questo.
Tra le altre cose, la sua buccia risulta essere meno ostica di quella del suo antenato; entrambi hanno proprietà benefiche rinomate soprattutto per la superba vitamina C, supereroe delle vitamine, presente in quantità maggiore nella clementina piuttosto che nel mandarino.
Pare inoltre che abbia un contenuto calorico inferiore, ma meno fibre.
Ma veniamo alla nostalgia… quello che davvero mi manca del mandarino è il sapore!
Aspro, complesso, raffinatissimo.
La sua è una dolcezza da conquistare, tra un seme e l’altro, carezze alla vaniglia nascoste tra le asprezze dell’agrume. Un sapore diventato forse un po’ fané per i nostri palati poco pazienti.
Temo che anche il mandarino sia caduto vittima delle semplificazione e dell’impoverimento generale degli ultimi decenni: culturale, lessicale, delle specie e anche dei sapori, sempre più appiattiti, facili e mansueti.
Se consideriamo che di specie di mandarino ce ne sono di svariate qualità, immaginate quale perdita per le nostre papille sempre meno stimolate, sempre più pigre nel riconoscere e apprezzare sapori non strillati.
Una nota personale: nelle case bergamasche, il 13 dicembre passava e passa la Santa Lucia con il suo asinello a portare i doni ai bambini.
Quando ero bambina (ma so che si fa ancora) la sera precedente, io e mio fratello lasciavamo sul davanzale della finestra un po’ di fieno per il mite ciuchino volante, una tazza di latte, qualche biscotto e dei mandarini per Santa Lucia.
Al mattino il suono di una campanella ci buttava letteralmente giù dal letto: più ancora dei regali era bello trovare il latte bevuto a metà, le briciole dei biscotti avanzati e i semi dei mandarini, prova inconfutabile della veridicità del prodigioso passaggio notturno.
P.S. – mi si perdoni il non essere entrata nello specifico delle distinzioni scientifiche tra le varietà, le specie etc: oltre a peccare di superbia, avrei fatto una ben magra figura…
Serena Manzoni