Di Serena Manzoni,
Avete mai la sensazione che state avvizzendo? Che siete come quella pianticella lasciata sul balcone che si sono dimenticati di annaffiare, desiderosa di quel poco d’acqua per riprendere il suo verde brillante? Per fortuna è una pianta resistente, tutt’altro che delicata, magari non bellissima ma forte, gli basta quel gesto d’amore di quel po’ d’acqua e un raggio di sole per ritornare a sorridere, a rassodarsi quasi. O ancora di sentirvi come il vasetto del vostro lievito madre, in frigorifero, un poco trascurato, in attesa di un tenero rinfresco per riprendere la sua attività? Ecco…credo che quella del lievito sia l’immagine adatta su cui soffermarmi.
Come sempre ho pochissimo tempo e bisogno continuo di rinfreschi per continuare a lievitare, a crescere e produrre nuova vita, nuovo slancio. Negli ultimi tempi mi ero un po’ dimenticata di annaffiarmi, di aggiungere farina nel mio vasetto… decido che bisogna fare qualcosa: prendere il pullman di primo mattino e andare a Roma…si va per mostre!
A Palazzo delle Esposizioni due mostre che solleticano la mia curiosità. Già fare il biglietto dell’autobus fa riprendere la lievitazione che è in me, sento che inizio a espandermi, la curiosità mi fa allargare, una sensazione quasi friccicarella, rinvigorente.
La prima mostra è Russia on the road (1920-1960) ideata da Alexey Ananiev e curata da Nadezhda Stepanova e Matteo Lafranconi, visitabile fino al 15 dicembre, per cui affrettatevi… immediatamente sento che mi sto riprendendo, le mie sinapsi funzionano meglio, il lievito si sta sgranchendo, mi sto muovendo.
Il tempo sovietico e le sue idee si materializzano in scene che mostrano nuovi spazi urbani, un paese che si sta formando: ferrovie, macchine, coloni che vanno a conquistare terre vergini: quelle geografiche della sconfinata Siberia e quelle spaziali di un sorridente Gagarin che ti saluta da dentro la cornice.
Le donne: contadine o ingegneri, aviatrici e hostess, su un autobus o dentro lo sfondo di un enorme porto, camioniste dentro una fabbrica nel tentativo di equiparare il ruolo femminile a quello maschile in una società che si proponeva come egualitaria. Nelle opere più recenti l’ottimismo da manifesto delle precedenti si va un po’ spegnendo, i colori si fanno più scuri, come se l’uomo si stesse trasformando in ombra.
Mostra davvero interessante, che per essere intesa forse prevede una conoscenza pregressa del contesto in cui sono state realizzate le opere. Ma va bene così, non credo che tutto vada sempre spiegato didascalicamente, la visita può e deve diventare uno stimolo ad approfondire, a capire, a studiare, insomma essere un bel rinfresco per il nostro caro lievito madre bisognoso di stimoli.
Al piano superiore altro giro altra giostra: sono affamata! Voglio altra farina…
Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano. 1900-1940 curata da Guy Cogeval e Beatrice Avanzi con Irene de Guttry e Maria Paola Maino, organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con il Musée d’Orsay di Parigi.
Ormai sono in piena ripresa, mi sto allargando, inizio a prendere più spazio nel vasetto, sto meglio!
Adoro la creatività di quegli anni anche se non dimentico che avevano come sfondo il regime e che ci si stava dirigendo verso l’abisso della guerra. Mi piace questo fondersi dell’arte con la vita, immaginandomi di mangiare nella sala da pranzo di Balla indossando un panciotto futurista. Ho un debole per Fortunato Depero. Casorati mi ipnotizza. Vorrei in soggiorno i mobili di Marcello Piacentini, magari accompagnati come in mostra da un quadro di Antonio Donghi. Nonostante tutto Gio Ponti e De Chirico non mi fanno innamorare. Visito la mostra in maniera più istintiva della precedente, in piena lievitazione spontanea, come se fossi ad una fiera tra saltimbanchi e zucchero filato. Finalmente sto fiorendo, la pianticella sul balcone si è quasi ripresa…ma ora ho fame. E dove andare dopo tutto questo lievitare?
Si va a Trastevere: Le levain! Pasticceria e boulangerie… a questo punto la lievitazione si fa tumultuosa! È una festa dolce e salata: croissant, pane, focacce, quiche, choux e sablé breton, macarons, tartelette au citron e chi ne ha più ne metta. Dietro il bancone delle meraviglie c’è la mano di Giuseppe Solfrizzi che dalla Puglia sbarca a Lione all’Ecole Nationale Superiéure de Pâtisserie, è allievo di Ducasse, arriva a Roma dopo svariate esperienze europee per aprire il suo Le Levain.
Laboratorio artigianale, lievito madre e prodotti di pregio. Non sono una grande conoscitrice della pasticceria e della gastronomia francese in genere, ma il mio croissant salato che dalla fragranza sfogliata di inizio morso va alla morbidezza burrosa dell’interno per fondersi letteralmente con la scioglievolezza del salmone mi sembrano perfette. Così come le consistenze della quiche e dello choux al caramello che gioca con l’amarotica durezza della glassa per affondare ancora nella pasta del dolcetto e si fa fluido ed arrendevole nel cuore pannoso.
Come si addice (ahimè!) alla metropoli Le Levain è un posto veloce: ci sono tavoli e trespoli dove sostare, ma una sosta rapida, da pausa pranzo. Un po’ mi dispiace, perché alla gola si addice la lentezza, ma sarà poi vero? In ogni caso potete optare per l’asporto e gustarvi a casa le svariate prelibatezze che prevedono anche qualche piatto caldo. A rendere Le Levain ancora più gastrodelirante una piccola selezione di vini naturali… una simpatica fontanella a cui attingere liberamente per quanto riguarda l’acqua.
A questo punto sto letteralmente uscendo dal mio vasetto…ci voleva! Il pullman del ritorno è pigro e viaggia dentro il buio, cerco di indovinare i paesi dalle luci, la pasta si sta assestando. Nei giorni che seguono e ancora adesso rivado a ciò che ho visto e gustato, la linfa ancora non si è esaurita, la pianticella sul balcone tende le foglie per cercare luce dietro il cielo invernale, ma sta bene.
Per finire: levain in francese significa lievitazione…
Le Levain
Via Luigi Santini, 22, 00153 Roma
Telefono – 06 6456 2880
Serena Manzoni
Sosta d’obbligo quando si è in zona trastevere e vicinanze.
Poco da aggiungere, tutto è buonissimo.
Forse solo lo spazio interno è sacrificato, e spesso non c’è proprio posto… ma se c’è un angolino, ci si stringe volentieri per una pausa pranzo di assoluta qualità.
Curioso…
Svolazzo per il web e trovo questo articolo.
A dicembre ho trascorso una giornata quasi uguale.
Stesse mostre visitate, e coincidenza ancor più grande, spuntino ristoratore nel medesimo locale, con la sola differenza che non era la mia prima volta li, anzi… quando capito nella capitale ne sono un fedelissimo.
Saluti e buon anno in ritardo da Firenze!
mmmmmmmmmm che buono!
Tutto in questo locale originale è delizioso.
Quiche e choux in mia opinione sono letteralmente stupendi.
In tutta Roma non ho trovato nessun locale che li faccia con questa lievità.