Di Serena Manzoni,
Non troppo tempo fa ho letto e scritto di Marinetti e della cucina futurista, divertendomi un po’ a immaginare i convivi di quei mattacchioni che erano i futuristi, veri e propri happening dove arte e vita si trovano indissolubilmente legate, addirittura ingoiate. In questo frangente il mio pensiero è andato immediatamente ad uno dei racconti proposto da Massimo Montanari nel suo I racconti della tavola edito da Laterza nel 2014, ovvero quello dal titolo “Banchetti d’artista”.
Massimo Montanari è docente di Storia medievale e Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, autore di diversi saggi. Sono libri che mi sento di consigliarvi perché stimolano una riflessione sul cibo e l’alimentazione, utilizzando un linguaggio abbastanza accessibile, basata sul fatto che quello che beviamo e mangiamo oltre a permettere la nostra sussistenza fisica parla di noi. Quello che si mangia e si è mangiato nello svolgersi della storia è “un modo per esprimere appartenenze, identità, relazioni” e i racconti della tavola “sono specchio di un mondo, di una società, di una cultura”.
Questa volta Montanari non ci propone un saggio, ma una raccolta di racconti (veri e inventati), da storico fa continuo riferimento ai documenti e alle fonti e per ogni situazione ci accompagna in una lettura del racconto che ci spiega il perché di certe situazioni alimentari presenti nel racconto stesso.
Dalla tavola si possono intercettare i gusti di un determinato periodo, le relazioni sociali dei convitati, l’influenza della religione o della geografia… sono tante e interessanti le situazioni proposte in questo libro, ma voglio fare cenno ai “Banchetti d’artista. Bizzarrie di una compagnia di buontemponi. Firenze 1512” per le affinità con i pranzi futuristi di cui abbiamo già detto.
Montanari ci parla delle avventure gastrodeliranti (concedetemelo…) della Compagnia del Paiuolo e della Compagnia della Cazzuola, tra le cui fila troviamo Giovan Francesco Rustici, Andrea del Sarto e altri artisti dell’epoca. Le fonti sono autorevoli: nientemeno che Giorgio Vasari e le sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori.
Altro che futuristi…
Cene dentro un enorme paiuolo, il manico dello stesso come magnifico lume, e mentre le vivande venivano servite in un saliscendi di alberi, musicisti allietavano i commensali. Importante ogni aspetto della messinscena godereccia, in alcune occasioni gli ospiti dovevano presentarsi con dei costumi specifici, anch’essi parte dell’happening/pranzo. Gli alimenti diventano per questi artisti degli strumenti per fare arte, in maniera eccentrica, capricciosa e divertente con una evidente tendenza al kitsch che giustamente Montanari sottolinea.
Impossibile non pensare alla descrizione del tempio di Andrea del Sarto dove il pavimento era un piatto di gelatina, le colonne dei salsicciotti, capitelli di parmigiano e altri elementi architettonici in marzapane e pasta di zucchero. Non posso che citare la descrizione del leggio: “fatto di vitella fredda con un libro di lasagne che aveva le lettere e le note da cantare di granella di pepe; e quelli che cantavano al leggio erano tordi cotti col becco aperto e ritti, con certe camiciole a uso di cotte fatte di rete di porco sottile…”
Non stupitevi della commistione di ingredienti (dolci e salati per esempio) che a noi può sembrare improbabile, ma che non è sempre stata così. I gusti cambiano anche a seconda di quello che si ha a disposizione, di dove si è, e dell’epoca in cui si mangia.
Non vi racconterò degli altri banchetti, anche perché l’invito è quello di leggere I racconti della tavola, voglio invece tornare ai futuristi. Se ci sono delle affinità tra le due esperienze, credo che nell’intento di Rustici e compari non vi fosse nessuna intenzione rivoluzionaria o di cambiamento sociale.
Semmai questi pranzi mi appaiono come una sospensione del tempo, un carnevale dove tutto è possibile, una rappresentazione teatrale staccata dal quotidiano mentre i futuristi proponevano una dirompente sostituzione del quotidiano con il loro mondo nuovo. Certamente vi è affinità nell’intendere il pranzo come una sorta di opera d’arte dove tutto partecipa dell’esperienza performativa: dall’abbigliamento dei convitati alle vere e proprie scenografie che li ospitano, fino alla musica che accompagna i banchetti.
A un certo punto i banchetti della Compagnia della Cazzuola finiscono, troppo esagerati dispendiosi e poco salubri, verranno “ristretti” ad un solo pranzo all’anno, in occasione della festa di Sant’Andrea, patrono della compagnia. Chi sa se Marinetti e Fillìa erano a conoscenza di questi banchetti d’artista?
Serena Manzoni