Di Serena Manzoni
Farfalle appoggiate su capigliature sontuose e mitiche, pensieri e amori e dolori che si fanno immagini, diventano ex-voto su lamine metalliche e immagini su busti di gesso, abiti e acconciature e atteggiamenti che fanno della persona un’opera, che diventa icona. Ebbene sì, siamo andati a Roma alla mostra Frida Kahlo presso le Scuderie del Quirinale, curata da Helga Prignitz-Poda.
Sveglia presto, senza rinunciare alla colazione e ai due caffè d’obbligo per poter affrontare la giornata: a Termoli ci sono nubi all’orizzonte ed un’arietta fresca che non sembra di stare ad agosto…il pullman è sonnacchioso ma non troppo, il paesaggio è quello impagabile dell’autostrada che da Pescara raggiunge la capitale passando per paesi di pastori, letteratura, di santi, di serpenti e di lupi. Fabio legge il giornale ed io sono in Kamchatka con Marcelo Figueras. Sarà una giornata piena. Scendiamo a Tiburtina: a Roma il cielo è terso, fa caldo ma una brezza leggera ci stuzzica e, bottiglietta d’acqua in mano, ci avviciniamo al centro. Da bravi provinciali quali siamo, osserviamo atmosfere e tracce che non ci sono abituali, un po’ storditi dalla folla e dal ritmo così diverso dal nostro abituale. Fermata Colosseo: cappellini, giovani texani che cantano, cocorite e frutta fresca, giapponesi sotto improbabili ombrellini, pelli diafane che diventano pericolosamente arrossate, stratificazioni architettoniche e umane, telefonini telefonanti e fotografanti, guide e guidati, per fortuna non ci sono macchine, per fortuna. Macchine che ci sono invece in via del Corso… insieme al passo ondivago dei turisti, le bottigliette di acqua gelata, la lettura dei tarocchi in tutte le lingue, il venticello scomparso.
L’orario di apertura della mostra Frida Kahlo è previsto per le quattro del pomeriggio: abbiamo davanti diverse ore.
Via del Corso 320: Palazzo Cipolla, Fondazione Roma Museo: scappiamo letteralmente dalla folla, entriamo, c’è la mostra Andy Wharol dalla Brant Foundation; in esposizione opere della collezione di Peter Brant, amico dell’artista e collezionista.
La mostra ci piace, ci racconta qualcosa di nuovo, ci fornisce un approccio diverso che è quello della collezione da cui provengono le opere, ci fa riflettere e vedere il rapporto tra Andy Warhol e la morte, con le sue sedie elettriche, gli incidenti stradali e i fiori, ci fa sorridere per l’irriverenza dei suoi Piss Painting, ci fa passeggiare tra i volti quasi mitici delle Polaroid, ci fa canticchiare canzoni dei Velvet Underground…
Sono quasi le due: sole a picco, bottigliette d’acqua gelata, calzoncini corti, chissà perché il turista deve urlare, contenitori di plastica con macedonie, odore di toast e formaggio (?) fuso, auto blu in soste discutibili, gambe e calzoncini, abitini leggeri e punture di zanzara, aria condizionata e collanine con il nome modellato con fili metallici. Abbiamo fame: sappiamo dove andare! Ancora un po’ di coraggio per raggiungere la metro a Piazza di Spagna, poche fermate e scendiamo a Cipro, pochi metri per arrivare al Pizzarium di Gabriele Bonci.
Ogni volta è uno spasso, e ogni volta ci chiediamo perché non potrebbero essere tutte così le innumerevoli pizzerie al taglio disseminate nello stivale: lievitazione naturale e farine provenienti da mulini “veri”, ma non solo. La cura che viene esercitata per la ricerca e la produzione dell’impasto si ritrova accurata e invitante nel condimento della pizza stessa: ortaggi di stagione, presidi Slow Food, salumi da applauso, formaggi da deliquio. E allora scrocchiarella con fiori di zucca, alici e provola e ancora
erbette, melanzane e rape rosse e la basica e insuperabile al pomodoro, perché è lì che si fa la differenza… naturalmente pranzo on the road nella migliore tradizione del cibo di strada. Fa piacere vedere negli scaffali del Pizzarium birre artigianali e vino naturale ma pure bibite e succhi di frutta di qualità per accompagnare.
Riprendiamo la metro: corpi sudati, bottigliette d’acqua gelata, piedi gonfi in sandali stanchi, ventiquattrore e pochi libri, scale mobili e bla bla bla, avanti fino alle Scuderie del Quirinale. Finalmente Frida Kahlo, i suoi ritratti e i suoi amori, i suoi sogni e i suoi colori, gli abiti meravigliosi e gli occhi profondi, la sua tragedia e la sua gioia, le scimmie e i costumi da Tehuana, Diego Rivera e le nature morte, gli Stati Uniti nel bene e nel male. Dimentico persino la gente che si affolla nelle sale, mi perdo nelle trecce di Frida Kahlo attorcigliate in forma di infinito.
Serena Manzoni
Tutto bene per il grande Bonci e Wharol. Pollice verso invece per la Kahlo, trasformata in una icona, e decisamente valutata molto piu’ di quanto meriti davvero.