Di Serena Manzoni
Oggi scriverò di tutto quello che avrei voluto scrivere e non ho scritto. Metto su un disco e scrivo. La Cavalleria rusticana di Mascagni accompagnerà il mio ticchettare sulla tastiera mentre gli uccellini di casa fanno il controcanto: adorano l’opera!
Siamo un groviglio di intenzioni e pigrizia, volontà e poco tempo, indecisione e passione. Eccomi quindi a fare un po’ i conti di fine anno, degli argomenti che bollono in pentola e non riescono mai a uscire per diversi e intricati motivi.
Partiamo dalla fine, ovvero dalla voglia di scrivere del Calcareus Gueli, un bel nero d’Avola bevuto ieri sera avendo ancora in bocca e nel cuore il ricordo dell‘Erbatino, di cui Fabio ha già detto.
Provo sempre un po’ di timore ad affrontare il tema del vino, come se fosse una cosa terribilmente seria da esaminare con un approccio più tecnico del mio, come se le mie impressioni non fossero abbastanza evolute per parlarne in pubblico.
Sarebbe sicuramente finita con il non scriverne, pensando che però avrei potuto farlo dicendo con leggerezza le cose che dicevo a Fabio mentre lo gustavo, ovvero che mi sembra un vino più intellettuale dell’Erbatino, più di testa e a me le cose un po’ cerebrali piacciono molto. Rispetto al fratello nato da un terreno diverso, il Calcareus si presenta un po’ più ostico, complesso nelle sue vene amarotiche che verso la fine mi ricordano addirittura il caffè.
E pensare che le prima “nasata” mi aveva fatto intravedere una rotondità poi elusa dall’acidità del primo sorso. Addirittura all’occhio mi è parso più torbido dell’Erbatino, anche se entrambi sono non filtrati e cresciuti nella massima naturalità. Ecco, non è poi così difficile parlarne, sarà Mascagni… sarà che confido nella clemenza di lettori comprensivi.
Forse per gli stessi motivi non ho mai scritto dei “vini da signorina”.
Di che si tratta? Ebbene non vi è mai capitato di essere al ristorante e di dover ordinare il vino?
Prima di tutto, non avete mai notato che la carta dei vini viene consegnata quasi sempre al maschio della tavola? Che l’assaggio del vino viene fatto fare immancabilmente allo stesso, anche se il vino è stato scelto da voce femminile? Avete mai fatto caso al fatto che dovendo consigliare un vino a una signora, propongono sempre bianchi profumatissimi e floreali, leggeri e un po’ fatui? Insomma pare che a una donna non possano piacere le acidità, la complessità, gli allappanti tannini e tutte le altre meravigliose possibilità del vino. Devo ammettere che non succede sempre e ovunque, ma quando succede divento letteralmente furibonda…
Ci sarebbe dell’altro, ma posso bruciare così tutti i miei argomenti dormienti? Magari avrò voglia di svilupparli in maniera più articolata oppure no, piena come sono di intenzioni e pigrizia, volontà e poco tempo, indecisione e passione…
Serena Manzoni
Purtroppo certi stereotipi, anche nel mondo del vino sono duri, durissimi a morire…
Allora, andando oltre la bontà o meno del vino oggetto del post, che mi riservo se capita l’occasione di provare, devo convenire che i cosiddetti “vini da signorina” hanno molti sponsor, e da sommelier mi spiace dire che tanti “colleghi” si sono inventati questa (presunta…) categoria enologica anche (e non solo) per fare un po di scena in ocacsioni mondane.
Però, lasciatemi dire, e questo per pura esperienza pratica, che ci mettono molto del loro anche tante signore e signorine che alla sola proposta di assaggiare un vino minimamente più impegnativo o di un certo corpo e struttura, quasi schifate e inorridite rispondono che questi non sono vini per donne…
Brutto il persistere dello sterotipo dei “vini da signorina”, esiste il vino e basta.
Buono o cattivo che sia.
Purtroppo di questi tempi i peggiori nemici delle donne, sono diventate proprio certe donne, e il mondo del vino non fa eccezione.
Ma questi vini cosidetti da signorina ni sembrano solo una mancanza di rispetto all’intelligenza. Io amo i rossi, forti alcolici, e magari con tannini e acidità alle stelle… Il vino è solo vino, basta.
Domanda per Carla che suppongo essere mia concittadina: ma la gentile signora sommelier milanese (credo…) è per caso una sulla 50ina, finta bionda quasi platino da sempre, che non si perde un incontro e aperitivo, che fa’ lezioni ed è divorziata di fresco, e che come caratteristica quella di avere smalti di diversi colori sulle unghie delle mani?
Bell’articolo!
Qualcuno che finalmente mette il dito sulla piaga dei presunti “vini da signorina”.
Sono donna, mi piace bere vino, ho fatto i miei buoni corsi di avvicinamento e poi il resto di questo meraviglioso mondo l’ho scoperto semplicemente con l’esperienza, e la mia migliorata capacità di discernere con attenzione i sapori.
Anche io sono stufa e arcistufa di certi ristoratorii e enotecarii che non pensano che una donna possa capire qualcosa di vino, e magari fanno provare il vino sempre al più cretino delle combriccola seduto al tavolo, perchè magari ha i baffi e l’aspetto da presunto macho.
Anche io sono stufa che quasi ovunque vada se oso chiedere un consiglio su cosa hanno da bere, subito mi propongono vini che io trovo inutili o senza mordente.
Anche io sono stufa di tutto questo, ma il peggio lo raggiungono certe signore sommelier, che secondo me lo fanno solo per indossare i loro bei abitini, visto che anche loro pur non dicendolo a chiare lettere propongono alle donne presenti tutti i vini ai quali aggiungono nel finale “ino”o “ina”… vale a dire prosecchino etc etc
E questo, anche pochi giorni fa in quel del centro di MIlano capitale, con tanto di Expo, dove in locale, una nota (?) signora sommelier quasi smorfiosa televisiva, a mia precisa richiesta di un bianco ben strutturato mi ha proposto una sequela di calici di vini idioti e peggio ancora pleonastici.
Quando ho insistito per qualche altra cosa un po meno sbiadita, indicando una bottiglia di Ribolla di Gravner che era in bella vista, la sciura piena di lifting e in divisa inamidata, mi ha testualmente risposto: “ma cara, questo è un vino più adatto ai palati maschili…”
L’avrei strozzata, magari con la catenina del tastevin
Saluti da Carla,