Federico Francesco Ferrero, medico nutrizionista e gastronomo, editorialista de La Stampa e vincitore di MasterChef Italia nel 2014. Una voce fuori dal coro, competente e attenta alle dinamiche gastronomiche e sociali.
Federico Francesco Ferrero
PM (Paolo Mandelli) Cominciamo con una citazione di Brillat-Savarin del 1825, esattamente duecento anni fa: “Il futuro delle nazioni dipenderà dal loro modo di nutrirsi.” Cosa ne pensi e quanto abbiamo ascoltato questo monito?
FFF (Federico Francesco Ferrero) – Nel primo Ottocento, la gastronomia era materia per veri intellettuali, non per influencer da social. Già allora i grandi gastronomi si interrogavano sulle implicazioni del cibo, perché il legame tra alimentazione e salute era chiaro. Oggi, la scienza conferma questa visione: perché i tumori gastrointestinali sono aumentati dell’80% dagli anni ‘50? Non ci sono dubbi: l’alimentazione è la prima fonte di salute o di malattia.
Brillat-Savarin aveva già capito tutto. Lo Stato francese, per esempio, ha sempre controllato il pane e le farine. Sai cosa hanno fatto i francesi in Marocco nel 1956, quando hanno lasciato il paese? Hanno sostituito una dieta povera ma sana, fatta di legumi, con il pane. E oggi il Marocco si nutre di pane scadente, fatto con farine piene di additivi chimici, che ingrassa, non nutre e crea malattie.
E noi? Peggio ancora. Duecento anni fa le élite se ne fregavano di cosa mangiasse il popolo. Oggi, che dovremmo essere più evoluti, siamo tornati indietro. Gli Stati non si occupano minimamente di ciò che la gente mangia. Preferiscono spendere miliardi per il sistema sanitario piuttosto che investire nella prevenzione, servendo cibo decente nelle scuole e negli ospedali.
L’Italia è diventata una grande quinta teatrale per il turismo, un palcoscenico per le multinazionali del cibo. Guarda la piazza principale di Torino, dove è nato il primo Parlamento italiano: ci trovi solo catene di fast food che spargono nell’aria odore nauseabondo di fritto.
In uno Stato civile e democratico, il governo dovrebbe preoccuparsi di far mangiare bene i propri cittadini. Perché un popolo che mangia bene è un popolo più sano, più intelligente e più soddisfatto. Eppure, stiamo allevando una generazione di bambini nutriti a junk food, e ci stupiamo poi se crescono malati, obesi e infelici.
Cosa pensi dell’idea di introdurre le scienze gastronomiche nelle scuole per educare i ragazzi al valore del cibo?
Sarebbe una pessima idea. Diventerebbe subito un feudo delle multinazionali del cibo. Non faremmo educazione alimentare, ma pubblicità occulta ai grandi gruppi alimentari e ai loro prodotti. Il problema è che parlare di nutrizione è complicatissimo, e la maggior parte delle teorie in circolazione sono fandonie. L’industria alimentare vuole che la gente sia ignorante. Perché se sei ignorante, mangi qualsiasi porcheria ti mettono nel piatto.
Stiamo diventando un Paese che non cucina più.
Si, ed è quello che l’industria alimentare vuole. Un popolo senza cultura gastronomica è un popolo più facile da controllare. Se il tuo palato è tarato sul neutro, mangi qualunque cosa, senza accorgerti che fa schifo. Oggi anche i grandi chef fanno fatica, perché la clientela non sa riconoscere la qualità. Non ha gli strumenti per giudicare.
Io ho un chiodo fisso: eliminare il cibo industriale dalle scuole e reintrodurre cucine interne. Sei d’accordo?
Assolutamente sì! È la prima cosa da fare: insegnare il palato.
Quando vado nelle scuole, non parlo di carboidrati, grassi e proteine. Non serve. Parlo di gusto. E faccio esperimenti.
Chiedo ai bambini: qual è la verdura che odiate di più? Risposta unanime: il cavolfiore. “Fa schifo, puzza, è amaro.” Allora porto in classe quattro cavolfiori di un contadino torinese che coltiva bene, senza chimica. Li faccio assaggiare crudi. Silenzio. Poi li cuociamo e li assaggiamo di nuovo. Poi li serviamo con una maionese fatta al momento. I bambini ne vanno matti.
Dopo qualche giorno mi chiama la preside: “Dottor Ferrero, non possiamo più ripetere l’esperimento, abbiamo avuto problemi.” Io penso subito al peggio: qualcuno si è sentito male? Ho violato le norme HACCP? No. Il problema è che i bambini, tornati a casa, hanno chiesto il cavolfiore alle loro madri. Federico Francesco Ferrero
E sai cosa era successo? Le madri si sono lamentate. Perché il cavolfiore comprato al supermercato era amaro e puzzava. Non era quello giusto.
Capisci il problema? I bambini sono diventati competenti. E l’industria alimentare non vuole gente competente. Vuole un popolo di ignoranti, con il palato asfaltato da zuccheri, grassi e sale. Se sei competente, puoi scegliere. Se puoi scegliere, non sei più un consumatore cieco.
Lévi-Strauss affermava che cucinare è ciò che definisce l’essere umano, il gesto che segna l’inizio della cultura. Italo Calvino, nel racconto “Sapore Sapere. Sotto il sole giaguaro”, sottolinea quanto sia essenziale condividere i piaceri dell’esistenza: la condivisione amplifica le soggettività. Non credi che questo principio sia fondamentale anche nel contesto del pranzo scolastico?
Assolutamente. Questo tema riguarda tutto il cibo, che sia a scuola, a casa o al ristorante. Stiamo perdendo il senso del convivio. La sinestesia – il coinvolgimento simultaneo dei sensi – si manifesta pienamente solo nel bacio e, in parte, nella condivisione del cibo, perché il gusto è l’unico senso che possiamo davvero vivere insieme. Ma questa esperienza sta scomparendo, persino in casa, dove il modello Deliveroo sta prendendo il sopravvento: ognuno ordina ciò che vuole, ognuno mangia per conto suo. Dobbiamo riscoprire il valore di cucinare e di mangiare tutti lo stesso piatto, insieme. Federico Francesco Ferrero.
Noi gastronomi dovremmo parlare meno di ristoranti stellati e più di mense scolastiche?
Assolutamente sì. Ho lavorato in una commissione per le mense scolastiche di Torino e ho ripetuto questi concetti mille volte. Lo dice anche il professor Berrino: zero zuccheri, più legumi e verdure. Bisogna cucinare.
Via la pasta dalle mense. Subito. Il pesce? Vietato, perché quello che servono nelle scuole è spazzatura. Diamo verdure buone, senza pesticidi. Buttiamo via il modello della ristorazione collettiva, che ci rifila cibo preparato a chilometri di distanza, senza neppure risparmiare. Perché tutto il risparmio scompare appena si presenta un tumore o un caso di diabete.
Le scuole devono acquistare il proprio cibo, cucinarlo in loco, e farlo sotto la guida di un medico competente. E magari facciamo venire le nonne e le mamme del Sud a insegnare a cucinare. Loro almeno lo sanno ancora fare.
Serve un’alfabetizzazione del palato. Dobbiamo svegliarci. E anche Slow Food dovrebbe partecipare alla causa.
Quale è il futuro della cucina italiana?
La cucina italiana è morta, Defunta, Putrescente, e puzza.
Perché sei così duro? Federico Francesco Ferrero
Perché abbiamo tradito le nostre radici. La cucina italiana nasce nelle trattorie, non nei laboratori asettici. Oggi si premia l’Instagrammabilità dei piatti, non il sapore. Non esiste più improvvisazione. Tutto è calcolato, sterilizzato.
Hai parlato di improvvisazione, ma ormai nei ristoranti di alta cucina è completamente scomparsa…
Ricordo un’esperienza al ristorante Troisgros, il leggendario tre stelle Michelin di Roanne, con mio padre. Ci chiesero se volevamo una beccaccia appena arrivata: solo il tempo di pulirla e cucinarla. Ecco cos’è la grande cucina. Oggi, invece, la burocrazia e i formalismi l’hanno soffocata. Anche lo chef Enrico Bartolini, del Mudec di Milano, ha dichiarato che nei ristoranti di alto livello i piatti devono essere provati e riprovati prima di entrare in menù. L’improvvisazione, quella vera, non esiste più.
Se in casa non c’è più una figura di riferimento per la cucina, il cuoco potrebbe diventarlo?
No. Siamo in una fase di stallo totale. I ristoranti stellati finiranno per perdere soldi, perché non interessano più. Il futuro è nella cucina popolare di mercato: piatti della tradizione, ben fatti, a prezzi accessibili, con materie prime eccellenti e fresche. Un esempio? Paolo Lopriore con il suo ristorante ad Appiano Gentile. Chi saprà seguire questa strada avrà successo.
Tutto il resto… è noia.

Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.