Carmelo Chiaramonte è un cuoco di confine, si muove velocemente tra diverse arti, la cucina, la musica e il teatro, ma è forse lo studio a cui si dedica con tanta passione a caratterizzarlo precisamente.
Dopo aver abbandonato alla fine degli anni 2000 la cucina del Katane Palace a Catania e gli studi televisivi del Gambero Rosso Channel, si ritira per 10 anni sull’Etna in uno “studio matto e forsennato”. Nel luogo che lui chiamava La pancia della balena ha pensato libri, spettacoli teatrali e musicali ma soprattutto ha studiato la storia della cucina nel Mediterraneo e gli ingredienti di questa meravigliosa terra.
Oggi siamo con lui per parlare del futuro della cucina italiana.
Paolo Mandelli – Partiamo come sempre, quale è secondo te il futuro della cucina italiana in un paese dove si cucina sempre meno?
Carmelo Chiaramonte – L’industria alimentare è entrata nella cucina italiana dagli anni ‘60 con pomodoro in scatola e tavolette di brodo concentrato, tutti i cinquantenni si ricordano di Ave Ninchi che ha rappresentato lo stereotipo della casalinga italiana nelle pubblicità alimentari.
Questa cucina industriale è stata la base della nostra cucina casalinga e con il tempo l’ha divorata. Non possiamo pensare che la cucina casalinga espressa esista ancora in Italia, basti guardare la quantità di pubblicità che c’è oggi in televisione di prodotti alimentari industriali. In Italia si consumano ogni anno più di 100 milioni di pizze surgelate.
Le trasmissioni di cucina che imperano sullo schermo hanno sdoganato i prodotti dell’industria alimentare per la quotidianità e tra poco forniranno anche la maggioranza dei ristoranti. In Italia non ci siamo accorti che la pasticceria è stata divorata dal semilavorato dell’industria e in un futuro prossimo la ristorazione farà la stessa fine.
Le cause di questo le possiamo anche addebitare ad una scarsa formazione dello studente della scuola alberghiera, in particolare al Sud; la scuola con budget ridicoli non riesce a formare un giovane cuoco professionalmente e l’avvento di prodotti industriali pronti, come un ragout alla bolognese, sarà un giovamento per tutti. Ci sarà un grande catalogo per cuochi, un grande All you can cook. Carmelo Chiaramonte
Già ora ci sono aziende che vendono la coscia di pollo disossata e la costoletta d’agnello in monoporzione sottovuoto anche per una ristorazione di prima linea. Il passaggio successivo sarà probabilmente quello di fornirgli specialità gastronomiche già cotte, pronte da rigenerare e servire a tavola.
Non dobbiamo però pensare che questo fenomeno sia un sintomo di decadenza ma una realtà odierna. La professione del cuoco è storia recente, non più di 200 anni per cui non si è consolidata come la professione del fornaio, che esiste da 8000 anni, ed è quindi suscettibile a qualsiasi cambiamento della società.
Oggi in Italia è difficile trovare un sessantenne che sappia cucinare una cernia di 5 chili intera, il massimo che si possa auspicare, al di là di alcune nicchie, è saper cucinare un arrosto preparato dal macellaio pronto per il forno.
La nostra società è post industriale e noi abbiamo perso ogni legame con la terra e con la parte contadina. Il legame con la terra che ha contraddistinto i nostri genitori non fa più parte della nostra cultura, non apparteniamo più alla natura e il nostro naso e il nostro palato non sono più abituati a riconoscere quel tipo di sapori. Il consumatore va visto sotto questo punto di vista, oggi purtroppo siamo nella civiltà dell’ All you can eat e dell’usa e getta.
Quindi secondo te uscire a cena sarà solo un momento di svago non legato ad un pensiero gastronomico?
Il pensiero gastronomico del cliente lo vedo poco, anche in un locale come il mio che è diventato una meta. Quel barlume di gastronomia che si avvertiva alla fine degli anni 80 in alcuni ristoranti e negli studi televisivi del Gambero rosso Channel dove c’ero anch’io, era effimero perché già si avvertiva che il pavimento non era solido. La storia della cucina professionale in Sicilia inizia con Nino Graziano (2 stelle Michelin, nda) 40 anni fa a Milano 10 anni prima, è storia di ieri, troppo recenti per consolidarsi.
La gastronomia è lo specchio della ricchezza della società, oggi che le condizioni sono cambiate la ristorazione fatica, il nostro sistema sociopolitico non valorizza la ristorazione come comparto alimentare; esiste il parmigiano e tutto il resto è sottinteso, non è detto che lo sappiamo usare e mangiare.
Solo la Spagna ha conferito due lauree Honoris Causa a Ferran Adrià, una in chimica dall’università di Barcellona e una in food tecnololgy dall’ università di Valencia, perché ha ritenuto importante il suo contributo culturale alla nazione. Il cibo, unito alla professionalità del cuoco, può impattare sul sistema economico di un Paese. L’Italia anche se in apparenza punta sulla gastronomia, fatica a credere nella professione del cuoco: Gualtiero Marchesi non ha ricevuto nessun riconoscimento, escludendo il titolo di cavaliere della repubblica e Carlo Cracco deve la sua popolarità ad un programma televisivo.
A proposito di Carlo Cracco, nell’intervista che gli ho fatto, aspirava ad una certificazione della qualità nella ristorazione, dal bar al ristorante di lusso, per sottolineare che l’eccellenza si può trovare anche in un panino, in una trattoria e non solo nei ristoranti di lusso.
Ha ragione perché attualmente l’unica differenza tra un ristorante e l’altro è il prezzo, ed è l’unica differenza che le persone riescono a capire. C’è poca capacità di valutare un piatto in base alla qualità, la gente non conosce i codici di accesso. Io non saprei fare una percentuale ma da quello che vedo, la spesa media in un ristorante è di 25/30 € per il 90% di quelli che escono a cena. Questi numeri ingolosiscono il business per l’industria alimentare, e tra dieci anni solo il 3% dei ristoranti farà una cucina espressa.
Alcuni anni fa ai ristoratori di Firenze, l’ufficio sanitario ha chiesto di consegnare settimanalmente la ricetta e i campioni di ogni sugo servito, se questa pratica fosse inserita nell’Hccp sarebbe la fine della ristorazione espressa, tutti dovrebbero acquistare prodotti preparati da industrie con filiera certificata e con data di scadenza. La ristorazione diventerà cosa rara e andremo da Heinz Beck, come ha detto Matteo Fronduti a te, a mangiare la carbonara a 70 €. Carmelo Chiaromonte
Avrà ancora senso la gastronomia se questo sarà il futuro?
Se parliamo di cucina d’autore l’Italia ha fatto un peccato capitale inseguendo il modello francese, filosoficamente è sbagliata l’impostazione perché è un modello di cucina nato al coperto. Il Mediterraneo ha un altro stile di cucina che è quello all’aperto. Con una griglia e un fornello costruisci un menù espresso dove c’è anche interazione tra cuoco e cliente. La cucina diventa meno codificata, più scapigliata e improvvisata.
Quello che dici è verissimo, se escludiamo Marco Ambrosino con il suo Sustanza a Napoli, nessuno guarda al Mediterraneo e tantomeno alla sponda africana, ora tutti guardano ai paesi nordici che con noi c’entrano pochissimo. Carmelo Chiaramonte
Il cuoco non è nessuno fin quando non ha imparato la storia del proprio mestiere, chiunque diventi maestro della propria arte ha studiato la storia del proprio lavoro. I francesi sono più preparati perché per diventare cuochi professionisti devono imparare l’abc della cucina. Io vorrei sapere quanti cuochi professionisti trentenni sanno disossare un coniglio. La differenza è tutta qui, un cuoco debole copia, guarda altri cuochi, cerca di arrangiarsi, vede quello che fanno a Copenaghen e lo rifà a Brescia, senza riuscire ad entrare nel pensiero gastronomico. Da qui tutte le cucine diventano simili e si focalizzano su esperimenti e show per colpire il cliente.
Ti racconto un aneddoto, anni fa cucino per Vinicio Capossela una cena per 10 persone, faccio la mia solita cucina di “fine dining” con alcuni dei miei piatti storici come la zuppa di mandorle e vongole; alla fine della cena esco vado da Vinicio, che è un amico, e chiedo com’è andata, lui mi dice: tutto buono, ma Carmelo, vuoi mettere le viscere alla brace? Io al momento la prendo male, poi ho fatto una riflessione su questa critica apparentemente semplicistica, e dopo un paio d’anni ho messo in atto la mia vendetta gastronomica. Carmelo Chiaramonte
Sempre per lui ho cucinato tutto alla brace e con il fuoco, l’animale nella sua interezza come in un sacrificio, quindi le viscere, la testa, i fegati al Marsala e come piatto finale una testa di maiale intera cotta nel sugo, portata in tavola nella sua casseruola di cottura. Questa cena è stata puro godimento, una festa dove il commensale era parte del simposio gastronomico e dove riconosceva il valore atavico del cibo cucinato sul fuoco.
La morale è che quella cucina preparata senza sovrastrutture culinarie ma con grande competenza tecnica è formativa per l’educazione sentimentale dei commensali. La cucina espressa soprattutto con il fuoco è atavica e ci riporta in uno stato di estasi. La sbavatura che c’è nel concerto dal vivo rende la performance unica, cosa che si è quasi annullata nel ristorante stellato con il menù degustazione. Carmelo Chiaramonte
Infatti tanti ristoranti stellati sono diventati noiosi.
Certo perché si sono slegati dal principio su cui si basa la cucina: primo ci deve nutrire, secondo farci stare bene e terzo divertirci. Quindi secondo me basta pane all’inizio del pranzo, sostituirlo con verdure crude e poi poche proteine animali. Il futuro della cucina italiana è tutto qui, cucina espressa del mercato legata profondamente al mondo contadino e all’artigiano che lo produce.
Hai notato come nelle grandi città il pranzo è diventato una ricerca solitaria del cibo, nei bar, nei supermercati perfino nei distributori automatici, sembra di essere ritornati ad un modello paleolitico di procacciarsi il cibo. Quando gli esseri umani andavano nel bosco alla ricerca di cibo. Carmelo Chiaramonte
Oramai c’è il sentimento verghiano della resa, una volta molto siciliano ora nazionale. Ci siamo arresi ai voleri della società e del mercato, nel pranzo è come dici tu invece alla sera, una volta tornati nella tana, c’è il modello Delivero che impera. “Povera Patria” per citare uno bravo.
Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.
Ho avuto l’ onore ed il piacere di poter cucinare assieme a lui
Un vero pazzo, che trasuda sapienza ed intelligenza
Grazie ,a qualsivoglia divinità, esistono ancora persone come Carmelo, che poco danno importanza al sembrare per loro conta l ‘essere !
In questa società queste persone sono pura vita
Grazie Paolo per tenerci appesi alla realtà !
Il Ligure