Di Mimmo Farina,
Quando si parla di spaghetti, giocoforza si pensa a Napoli.
In generale al sud Italia.
Infatti, nella parte settentrionale della nostra penisola la pasta è giunta, con una diffusione capillare, solo dopo la seconda guerra mondiale.
I “padani” in genere preferivano pasteggiare a riso o altro.
Tornando agli spaghetti, se si abbinano a Napoli, inevitabilmente salta in mente il Principe della risata, Antonio de Curtis, l’inarrivabile Totò.
Unendo tutti questi ingredienti il cinefilo potrà citare, inevitabilmente, solo Miseria e Nobiltà, commedia del 1954 diretta da uno dei registi di fiducia di Totò, Mario Mattoli, ma già rappresentata da settanta anni nei teatri, derivando da un testo di Eduardo Scarpetta, padre naturale del clan De Filippo.
Insomma ci troviamo a livelli decisamente alti, narrativamente parlando. Datosi che, però, parliamo di miseria e nobiltà, i livelli sono destinati ad incrociarsi.
È per questo necessario un breve cenno alla trama, tutt’altro che lineare.
Felice Sciosciammocca (Totò appunto) è uno spiantato che si arrangia nella Napoli di fine 1800, soprattutto fa lo scrivano.
In un avanguardistico esempio di famiglia allargata (più per necessità che per convinzione) divide il suo appartamento con il figlio Giuseppe (Franco Melidoni), la compagna Luisella (Dolores Palumbo), l’amico Pasquale (Enzo Turco) un altro artista dell’arrangio, per la precisione un fotografo ambulante, la moglie di questi Concetta (Liana Billi) e la loro figlia Pupella (Valeria Moriconi).
Inattesa, per Felice, giunge la richiesta di aiuto del giovane nobile Eugenio (Franco Pastorino) innamorato della ballerina Gemma (Sophia Loren).
Difficile dare torto al marchese Eugenio, siamo sinceri.
Invece chi si oppone alla unione è l’ex cuoco don Gaetano (Gianni Cavalieri) che, essendo molto ricco, non ha necessità economiche particolari.
Glio fa gola, però, acquisire un titolo nobiliare e, per dare il via libera all’unione, pretende di conoscere i genitori di Eugenio.
Nemmeno a dirlo, tale compito spetterà al nostro Principe.
Come detto, tuttavia, a casa di Felice la fame regna e così Peppiniello va a lavorare proprio da don Gaetano, fingendo di essere figlio di Vincenzo, il compare di Felice
La battuta che tutti ricordano si crea qui, ovvero “Vincenzo m’è pat” (Vincenzo è mio padre), linea che Peppiniello ripete con regolarità nel corso della pellicola.
In tutto questo bailamme, l’imbroglio va a segno e in più i “genitori” di Eugenio accettano, con poco sdegno, di essere invitati a pranzo dall’ex cuoco.
Al pranzo i primi intoppi.
La cameriera personale della Loren è Bettina (Giulia Melidoni) ovvero la ex di Felice, inviperita dai suoi continui tradimenti.
Felice scopre, peraltro, scopre che Peppiniello lavora anche lui in quella casa. Ma proprio il bimbo sarà il motore della riappacificazione tra gli ex coniugi.
Riappacificazione che non potrà avvenire prima di una serie di colpi di scena, nella migliore tradizione della commedia all’italiana (quella seria).
Come se non bastasse anche il padre di Eugenio, sotto travisamento, corteggia Gemma.
Insomma, un bell’intreccio, come degli spaghetti in una zuppiera.
Ed arriviamo così alla scena clou, che però non è alla fine del film, ma più o meno a metà. Sono tre i giorni che la “famiglia” di Felice esercita l’ascetica arte del digiuno, ovviamente contro ogni volontà.
Arriva così un cuoco nella sala/camera da letto che, coadiuvato da due facchini imbandisce una tavola di classe sotto le pupille, e le papille, eccitate dei nostri eroi.
Un pollo ma soprattutto dei fumanti spaghetti al pomodoro vengono serviti in tavola.
All’inizio si avvicinano con fare sornione, poi la velocità aumenta ed è delirio, anzi gastrodelirio!
In Miseria e Nobiltà lo spaghetto supera la sua dimensione alimentare per trasformarsi in un feticcio, in un simbolo che trascende la semplice nutrizione.
Si infila in mani, tasche e ovviamente bocche per saziare l’avidità repressa così a lungo.
Suscita sentimenti contrastanti nello spettatore.
Da un lato verrebbe voglia di unirsi all’innocente baccanale, dall’altro si prova della intuibile repulsione per la scarsa igienicità della situazione.
Ma si sa, la fame è fame!
E allora che il banchetto cominci.
Rendendo sempre grazie a Totò ed agli spaghetti ovviamente!