Di Mimmo Farina,
Il cannibalismo al cinema è un tabù che viene infranto con una certa frequenza.
Al di là dei film appartenenti al filone dichiaratamente horror/cannibal, di cui è incontrastato maestro Ruggero Deodato col suo, insostenibile, Cannibal Holocaust, il nutrirsi della carne più proibita è un piacere anche e soprattutto psicologico.
Già su queste colonne abbiamo affrontato un tema simile quando abbiamo descritto e consigliato Anno 2022 i sopravvissuti, anche se lì ci si trovava di fronte ad intreccio distopico/sociologico.
Con Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e l’Amante (1989 – Peter Greenaway) invece invadiamo, contemporaneamente, il territorio di Freud ma anche quello di Shakespeare, con gli evidenti rimandi a Tito Andronico.
Ma non c’è da aver paura, nella pellicola dell’autore gallese non manca anche e soprattutto il cibo tradizionale.
Un breve accenno alla trama.
Albert Spica (Michael Gambon) è un ladro, ma anche il comproprietario di un ristorante di lusso a Londra, certo di non cucina inglese, gestito dallo chef transalpino Richard Borst (Richard Bohringer), nel quale si reca con la moglie Georgina (Helen Mirren, che mi accorgo di avere visto in moltissimi film solo dopo averla riconosciuta in età matura).
Il ristorante è una sorta di porto franco per il ladro, che insulta moglie e commensali, dando libero sfogo alla sua vera natura brutale e scurrile.
La moglie subisce in silenzio queste vessazioni finché non conosce Michael (Alan Howard), colto ma tutt’altro che dimesso libraio che intreccia con la nostra milf una storia che di platonico non ha nulla.
Nella migliore tradizione, il becco non si accorge di nulla, fino a che non è una delle donne dei suoi sottoposti a rivelargli la cornea realtà.
Il finale è da vedere e da gustare, naturalmente senza spoilerare, anche se gli indizi disseminati fin’ora, qualche cosa la potrebbero fare capire.
Il film è un inno al grottesco ed al black humor, soli modi, forse, per sopportare le efferatezze che si susseguono, alternate ad una esibizione di cibo e sfarzo probabilmente sovradimensionati rispetto alle reali esigenze del ristorante. il ladro il cuoco sua moglie e l’amante
Come detto, del resto, siamo anche dalle parti del dottore viennese, per cui i simbolismi abbondano, così come i contrasti, che tendono sempre a cercare di spiazzare lo spettatore.
Di questo film ha fatto sicuramente tesoro, almeno stilisticamente, il duo Jeunet/Caro per il loro Delicatessen, ma questa potrebbe essere un’altra storia.
In definitiva, fa venire voglia di mangiare Greenaway?
Si, ma anche no. il ladro il cuoco sua moglie e l’amante
Non mi si tacci di veltronismo, però, perché la spiegazione è semplice ed inevitabile, l’ambiente e lo sfarzo invogliano ma, più di quello che si vede sullo schermo, sono i personaggi, almeno alcuni tra i principali, a chiudere lo stomaco dello spettatore, portandolo ad amare e poco consolatorie riflessioni.