Di Mimmo Farina,
Mai come in questo periodo sembra essere di attualità riferirsi a culture “altre” ed il cibo, ovviamente, è cultura, spesso l’ambasciatore privilegiato per superare incomprensioni e divisioni.
Vedere come i volti, prima tesi e rabbiosi, possano distendersi intorno ad un desco è qualcosa che trascende la semplice funzione nutritiva. È riconciliarsi con quanto c’è di positivo in una specie spesso perniciosa e nefasta come quella umana.
Anche il più convinto sostenitore di “Feudalesimo e Libertà”, infatti, cede di fronte ai saturi, ma invitanti aromi del “saracino” kebab, così come affondare la forchetta (o per i puristi le mani) in una bella porzione di cous-cous ha la sua bella dote di soddisfazione.
Cedere ai poderosi toni di una Harissa o immaginare il contenuto di una Tajine o, ancora e perché no, degustare un hummus sono alcuni vantaggi che, parafrasando Enrico Ruggeri, la mia condizione mi dà.
Ci sono cose alle quali la globalizzazione è servita e la scoperta degli esotici sapori mediterranei è uno di questi.
Nella speranza di capire che siamo tutti cittadini dello stesso pianeta, arricchendoci con le nostre differenze (che per noi sono principalmente di sapore) andiamo alla scoperta di Cous-Cous.
Film del 2007, diretto dal tunisino Abdellatif Kechiche (il cui nome mai azzarderò pronunciare in pubblico) ruota tutto intorno alla pietanza omonima.
La pellicola, vincitrice del Leone d’Argento a Venezia 2007, parla di Slimane (Habib Boufares) un signore di mezza età, maghrebino, manovale in una generica città portuale francese.
Con un matrimonio fallito alle spalle, vive nell’albergo di proprietà della sua attuale compagna e con la figlia di quest’ultima, Rym.
Nonostante il divorzio mantiene un buon rapporto anche con la ex moglie, eccellente cuoca, il cui cous-cous è un’ottima e golosa scusa per riunire la famiglia.
Messo in disparte sul lavoro, a causa dello scarso rendimento e dell’età, con lo stipendio dimezzato Slimane si decide al grande passo: licenziarsi ed aprire un originale ristorante.
Adocchiata una barca da rottamare al porto, infatti, vorrebbe impiantare lì la sua attività, ovviamente a base di cous-cous cucinato dalla ex moglie.
Aiutato da Rym (Hafsia Herzi), inizia la sua discesa negli inferi della burocrazia (a dispetto di quanto ci piace pensare, i gironi danteschi tra bolli e carte non sono una esclusiva italiana) e ovviamente il Maelstrom lo inghiotte.
Nonostante l’ottusità della macchina burocratica, anzi, a dispetto di essa, decide di allestire ugualmente il ristorante, in modo da offrire una cena ai vari funzionari responsabili della realizzazione del progetto.
Le cose, inaspettatamente, non potrebbero andare peggio: oltre a varie nefaste circostanze sparisce anche il cous-cous.
Fortunatamente Rym e la madre riescono a risolvere la situazione mentre il film si chiude su una nota di incertezza sul destino di Slimane, caduto per rincorrere due teppisti che gli avevano fregato il motorino. Cous cous film
Una pellicola agrodolce, quindi, in cui i momenti migliori sono sempre legati al cibo, richiamando la convivialità che sempre dovrebbe accompagnare i momenti del pranzo.
Ovviamente, durante la visione, suggeriamo una gastrodelirante cena mediterranea, che possa richiamare minareti e palmeti, in una cornice decisamente più calda della attuale, accompagnati dallo sciabordio delle onde marine.
Cous cous film