La pandemia è viva e lotta insieme a noi.
Nonostante le ottimistiche e ingiustificate previsioni dei nostrani virologi da tastiera che, non andrebbe sottolineato ma tant’è, di medicina ne sanno quanto il sottoscritto o forse persino meno, siamo ancora qui, un anno dopo a combattere con FFP2 e chirurgiche e a dibattere se lo spritz sia un bene costituzionalmente garantito.
Arcobaleni, inni mameliani, dichiarazioni di amore per il personale sanitario, tutto questo (e molto altro) sembrano orpelli del passato, un passato oltretutto decisamente remoto e scomodo.
L’homo modernus pretende.
L’homo modernus vuole.
L’homo modernus ha sicuramente dimenticato l’etica della rinuncia e del sacrificio.
In questo senso ci si è ambientati alla perfezione nel sistema capitalistico che, è innegabile, ci ha saputi viziare.
Chi, poi, più degli amanti del buon cibo e del tintinnante bere, è il re dei viziati?
Di sicuro il true believer gastrodelirante!
Allora, per una sorta di contrappasso dantesco, ed in attesa di tempi peggiori, mi sono rifugiato in una visione che potrebbe far sembrare questa pandemia ovattata una sorta di passeggiata.
La visione gastrodelirante odierna, anche per celebrare un ritorno su queste colonne dopo un lungo periodo di inattività, è quella che, con terminologia desueta, si definisce col botto.
Innanzitutto per il tipo di cibo proposto, non una vera novità per chi segue la nostra rubrica, ma sempre disturbante, almeno a livello psicologico.
Poi per la storia in sé.
Ma, come è d’uopo, procediamo con ordine. Il film è del 1993, ambientato nel 1972 sulle Ande ed è diretto da Frank Marshall, un fedelissimo di Steven Spielberg che ci ha regalato almeno un piccolo capolavoro come Aracnophobia, oltre ad essere marito di Kathleen Kennedy cioè colei che è riuscita a rovinare in maniera definitiva l’icona di Star Wars.
Ma, in questa sede, dei disastri artistici della signora Marshall-Kennedy non ci interessa.
Tornando infatti al buon Frank, il film in questione è ALIVE SOPRAVVISSUTI.
Ispirato alla vicenda nota come “Il disastro delle Ande” narra della vicenda di una squadra uruguaiana di rugby che, il 13 ottobre 1972, in volo verso il Cile, viene coinvolta in un drammatico incidente sulla famosa ed impervia cordigliera sudamericana.
I soccorsi tardano ad arrivare ed ecco che si pone il gustoso dilemma per i sopravvissuti: rinunciare al gustoso cabaret offerto dai corpi dei compagni morti, ben conservati anche dalle rigide temperature montane, o farsi vincere dal prevedibile disgusto e dai dubbi di natura etica e quindi partire la fame e, probabilmente, morire anche essi?
Da 33 sopravvissuti la selezione (naturale?) porterà il gruppo a ridursi a 16 “gourmet” mentre due di loro (Fernando Parrado/Ethan Hawke e Roberto Canessa/Josh Hamilton), in avanscoperta, riusciranno a raggiungere il Cile e ad organizzare una spedizione di soccorso.
È evidente, ai nostri fini, affrontare il film, che rientra nel filone drammatico/catastrofico con qualche punta di horror, è soprattutto affrontare quel particolare alimento di cui nessuno potrà riferirci le caratteristiche organolettiche, pena la galera.
Uno dei tabù alimentari per eccellenza, anche se in molte culture, non solo primitive, il cannibalismo rituale era considerato un modo per acquisire le virtù, qualora vi fossero del defunto.
Ed allora, in conclusione, vi e ci invitiamo ad affrontare le restrizioni di questo ostico periodo con un po’ di serenità in più, ricordando che in fondo, “qualcosa” da mangiare si trova sempre…