Una pizza memorabile
Di Fabio Riccio
Altra sera pigra, vabbè, ormai non è una novità… una buona pizza da portare a casa è l’ideale. Per fortuna in città tre o quattro pizzerie fanno pizze napoletane all’altezza del nome.
Le altre ”pizzerie” (virgolette d’obbligo) preparano soltanto tristi e improbabili dischi di frumento macinato & malamente lievitato tramite l’addizione di sostanze dai nomi esoterici, cotte in ancor più improbabili forni, e magari (come fanno alcuni) persino in tegame, neanche fossero crostate!
Certo, anche il livello delle mie pizzerie “preferite” non è certo spaziale, ma almeno l’impasto, i forni e il “manico” dei pizzaioli sono quelli giusti del “Made in Naples”.
Riguardo alla qualità di cosa mettono sopra la pizza anche in questo caso è meglio sorvolare, le locali pizzerie (di scuola napoletana o meno) non sono differenti dal resto delle italiche pizzerie, dove la qualità di cosa c’è sopra è spesso oggetto di dibattito.
Ma analisi qualitative a parte, mi fiondo lo stesso in una di queste pizzerie (quella dove ho trovato parcheggio per primo – sic!) e ordino le mie due brave pizze da portare a casa.
La pizzeria in oggetto ha per buona sorte il forno e il banco del pizzaiolo “a vista”.
Anche il banco di lavoro è di scuola napoletana, abbondante di marmo e dei canonici e pittoreschi contenitori per quel che sulla pizza ci finirà sopra, oliera compresa.
Appena ordinato, mi avvisano che ci sarà da attendere una decina di minuti o più.
Non mi scompongo, sembra un tempo ragionevole visto che in sala c’è più di un tavolo con avventori affamati che aspettano. Nei pressi del banco di lavoro non ci sono sedie, si può stare solo in piedi, così faccio del mio meglio per non essere di intralcio al movimento del personale tra forno e sala.
Anche se scomoda, la mia posizione ha però un vantaggio, che è quello di poter osservare senza ostacoli il pizzaiolo al lavoro. Il pizzaiolo lo conosco, è bravo, per stendere la pasta non usa che le mani, e non si lancia in quelle superflue acrobazie da giocolieri che tanto piacciono, ma ben poco hanno a che fare con la pizza.
Osservo anche nei loro contenitori i panetti di pasta ben allineati… quando il pizzaiolo li prende per stenderli, da subito si vede che la pasta è ben fatta, specialmente quando è tagliata con la canonica “spatola” per separarla da quella vicina. Peccato che non si vedano tracce dei sacchi della farina utilizzata, mi sarebbe piaciuto sapere quale usano.
Insomma… tutto per il meglio, almeno per un curiosone gastrodelirante quale è il sottoscritto.
Pochi minuti e vedo sfornare una bella quantità di pizze. Margherite, capricciose, quattro formaggi, qualche calzone e le immancabili marinare. Dopo un quarto d’ora di questo viavai, però non è ancora arrivato il turno delle mie pizze.
Ad un certo punto il pizzaiolo leggendo le comande, esclama –
– ma so’ proprio tre ‘i pizze al tartufo al tavolo 71? – dal banchetto tecnologico della cassa rispondono gridando di si.
Il pizzaiolo inizia a preparare le pizze, delle normali margherite e… dopo poco dal retro si palesa un ragazzotto dall’aria non troppo sveglia che mi ricorda Mamozio, con in mano un barattolone dal contenuto non meglio identificabile.
Preciso una cosa: tutta la scena si svolge a circa tre metri da me.
Il barattolone arriva nelle mani del pizzaiolo che lo apre ed esclama –
– maronna mia… “comm feta… ‘sta fetenzia! –
Neanche qualche secondo, e nella sala il sentore di presunto tartufo prende il posto del ben più attraente e fragrante aroma delle pizze appena sfornate. Purtroppo non ho con me la maschera antigas.
L’odore è nauseante… dallo sguardo, il pizzaiolo sembra dubbioso su come usare il tutto e così chiede aiuto a Pasquale, che troneggia in cassa guardando al computer una partita del Napoli –
– Pasquà ma sta fetenzia l’aggia mett n’coppa a pizza, o l’aggia spalmà comm’ a nutella?
Dal banchetto arriva perentoria la voce di Pasquale –
– Gennà, fa come sfaccimm’ t piac a te! Chill ch stann ‘o tavolo 71 so’ tutt cape ‘mbrèlla!
A questo punto il pizzaiolo armato di una spatolina da dolci, inizia ad impiastricciare le tre pizze appena sfornate, con la puteante e inquietante cremina contenuta nel barattolone.
Risultato? Delle dignitose pizze, in pochi attimi sono trasfigurate in un non so che di raccapricciante, dall’aspetto tendente al marroncino e dall’ignobile sentore semipetrolifero.
Nel frattempo, nonostante i miasmi da stabilimento petrolchimico provenienti dal banco, aguzzo la vistae occhieggio l’etichetta verdolina del barattolo: si è proprio lui, lo stesso di cui ho parlato in un mio post qui su gastrodelirio lo scorso anno, solo in confezione magnum. Vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/il-tartufo-di-rango/2013/08/ .
Il tempo di finire l’impiastricciamento, e le pizze vanno dritte di filato ad un tavolo non lontano, dove ad attenderle ci sono tre ragazzette sgallettate quanto basta, che all’arrivo accennano anche un applauso inneggiando al tartufo…
Tra risolini e occhieggiamenti vari, restano però le solite trite considerazioni già trattate nel post al link di cui sopra, ma in questo caso con qualche aggravante di troppo.
Passi per le ragazzette che quasi certamente, non hanno neanche la minima idea di cosa sia un tartufo e, si accontentano di spendere ben 2,5 euro in più per ogni pizza rovinata dalla tremenda miscela dove, il tartufo è presente in dosi quasi omeopatiche.
Il comportamento più esecrabile però, lasciatemelo dire, è quello del pur bravo pizzaiolo, e di chi gestisce la pizzeria.
Quasi di sicuro anche loro non hanno idea di cosa sia, quanto costa, e di come si utilizza un tartufo. Forse non ne hanno mai “testato” il vero e coinvolgente aroma, forse non sanno neanche come è fatto esteriormente. In assoluto non è una colpa, però da chi gestisce una attività, un minimo di conoscenza e professionalità in più sarebbe auspicabile.
Però… vedo anche cattiva fede nel limitarsi ad approvvigionarsi di barattoli di “roba” che puzza di tartufo dal grossista di fiducia, senza minimamente prendersi cura della qualità.
Un comportamento molto, ma molto poco professionale, giusto per usare un eufemismo. Non è assolutamente una giustificazione plausibile che, una parte dei clienti vuole questo (il tartufo) sulla pizza, e… che quindi in modo o in un altro bisogna pur darglielo.
Il mio timore è che se per l’acquisto di tutto quello che si mette sopra la pizza si sono usati gli stessi parametri qualitativi utilizzati per l’acquisto del tartufo, allora siamo freschi… è davvero una pizza memorabile.
Concludendo… quando mangio una pizza, e non sono in un locale di cui mi fido al 110%, per quanto possibile limito la mia scelta a pizze potenzialmente innocue, ovvero… quelle dove ci dovrebbe essere mozzarella di bufala, (e non il “filone”) e magari qualche vegetale, che anche se proveniente da qualche discount di provincia, in teoria più di tanto non dovrebbe essere dannoso…
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Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Onestamente parlando le varie pizze al tartufo non hanno molto senso, e certi pizzaioli andrebbero frustati sulla pubblica piazza. A metà settembre in abruzzo dove ero in vacanza, un disgraziato di pizzaiolo, ha osato mettere su una appena decente margherita delle lamelle di scorzone, e poi ha cotto il tutto nel forno.
Risultato? Il tartufo ridotto a simil-patata-fritta in busta, e di aroma di trifola scomparsa ogni traccia. Via i tartufi dalle pizzerie, veri o falsi che siano!
A me, la pizza al tartufo in qualsiasi forma e altro, non mi piace per niente, per non dire che fa decisamente schifo!