Di Fabio Riccio,
Gueli è una vecchia conoscenza di Gastrodelirio, come credo per tutti i nostri lettori gastrodeliranti.
Già in passato abbiamo dedicato spazio (e lodi, meritate) per due creature di questa azienda dell’Agrigentino, vale a dire il Calcareus e l’Erbatino, due Nero d’Avola diversissimi tra loro, entrambi notevoli, da emozione oserei dire.
Vedi – https://www.gastrodelirio.it/serena-manzoni/calcareus-gueli/2015/06/
Vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/erbatino-gueli-2010/2015/06/
Non domi, quelli di Gueli dal cilindro hanno tirato fuori una sorpresa, una bella sorpresa, nientedimeno che… un rosato.
U’ Carusu, un bel rosato, particolarissimo, logicamente figlio di uve Nero d’avola, ma non per questo incasellabile in nessuna tipologia precostituita.
Già… non dimentichiamo che Gueli è una di quelle aziende che per approccio e filosofia piace molto a noi di gastrodelirio (altrimenti mica ne se ne scrive…).
Ci piace cosa fanno in pratica & in bottiglia, ma anche come narrano del loro lavoro.
Il loro approccio si condensa in poche parole: fare buon vino non curandosi di certi (discutibili, se non discutibilissimi) “infallibili dogmi” dell’enologia paludata, rispettando non solo a parole il territorio, il vitigno, il consumatore, e non ultima la salubrità di quel che finirà nel calice…
Nel calice non solo vino, ma anche etica.
Qualcuno li chiama “vini naturali”, (virgolette d’obbligo) chissà…
E così eccoci a raccontare perchè U’ Carusu ci è piaciuto, tanto.
Partiamo da qui.
Prima di tutto (per me) U’ Carusu è un vino irregolare.
A me gli irregolari di ogni fatta piacciono.
Perchè irregolare?
Perché al contrario di tanti altri vini, non prova ad essere nulla di diverso da quello che è, spigoli e piccoli nei compresi.
Eh… si: i nei.
A volte, trascurabili difetti come possono esserlo i nei per il viso di una persona (pensate a Marylin Monroe come sarebbe stata senza il celebre neo…), in certi vini si rivelano la parte più caratterizzante.
Però, di questo aspetto del U’ Carusu ne riparleremo un po’ più avanti.
Senza giri di parole, con U’ Carusu siamo di fronte a un gran bel rosato.
Il colore, un rosa fulgido un po’ tenue, cita i liquorini della nonna, ma a differenza delle morbidezze rassicuranti dei rosoli, dal calice del U’ Carusu non escono solo bei sentori fruttati al naso, ma anche spigolosità e note citriche, amabilmente taglienti per il palato.
Si: U’ Carusu da subito è tutto un aguzzo scoppiettio di lampi e di sole, e in certi momenti specialmente se non troppo freddo, riempie la bocca di bello spandendo acidità a piene mani.
Non è un caso.
Sono sicuro, anzi certo, che da Gueli hanno (ben) pensato che solo assecondando senza mediazioni l’intrinseca riconoscibilità del vitigno, il Nero D’Avola, qui in “abito” rosa, si può parlare davvero di terroir nel calice, tannini gentili inclusi.
Però: spigoli aguzzi, profumi, facile beva…
Ossimori?
Forse, chissà, in ogni caso U’ Carusu è dannatamente beverino. Stop.
Però… l’evoluzione, il naso, il palato e perfino i salumi e formaggi che hanno accompagnato la bottiglia di U’ Carusu utilizzata come aperitivo (ci stava benissimo!), mi suggeriscono che (forse) tutte le nette e godibili acidità, ma anche parte del corredo olfattivo sono frutto di una vendemmia precoce.
Il Nero d’Avola, la sua acidità, i suoi spigoli.
Un tempo solo un vino da taglio, che abbaglio!
U’ Carusu è un un vino dove aleggiano odori e caldo di fine Agosto.
Sembra quasi di sentirci dentro un frinire di cicale, come si può udire prima del tramonto nel non lontano giardino della Kolymbethra...
Non dimentichiamo che le vigne di Gueli non sono lontane da Agrigento, quasi sul 37° parallelo.
Un tiro di schioppo dalla Valle dei templi, e chi ha buone rimembranze di geografia, ben comprenderà che sole e caldo dalle quelle parti, che sono più o meno anche le parti di Andrea Camilleri, si fanno sentire, eccome, mica siamo sul Rodano!
Dicevamo dei nei…
Si: un neo nel U’ Carusu, almeno nella bottiglia che abbiamo gustato c’era.
Appena aperto si sono palesate (piccole) tracce di ridotto, tracce dopo poco svanite.
Però… il ridotto (principalmente fatto di acido solfidrico) qui olfattivamente tendente un po’ al “prugnoso secco”, è talvolta indice che non sono stati usati lieviti selezionati, ma “autoctoni”, quelli che mamma natura senza comprar bustine dai nomi criptici dissemina munificamente sulle bucce.
Meno male!
Non è tutto però.
Tracce di ridotto, come qualche indizio di volatile, un po’ di ossidazione, lo ripeto per l’ennesima volta, non sono poi la fine del mondo, anzi.
In mia opinione (ma non sono il solo) se in limitata e non egemone misura, non sono difetti, sono solo una parte caratterizzante del corredo sensoriale di un vino. Fine.
Ecco il neo…
Ad avercene bei nei (così) in tanti vini!
Azienda Agricola Gueli
Via G. Di Vittorio, 22
92020 – Grotte (AG)
Davide Gueli – 320 2633268
Giuseppe Gueli – 328 3420183
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?