La premessa è sempre la solita: la cucina NON è una scienza esatta, ma il frutto di infinite evoluzioni e contaminazioni…
Poche le “quasi eccezioni” a questo punto fermo che, vanno concesse a un numero limitato di preparazioni tradizionali, che con il lavorio dei continui aggiustamenti subiti negli anni, ad un certo punto, magicamente, hanno raggiunto l’equilibrio della perfezione.
Trasformarle in qualcos’altro pur mantenendone il nome sarebbe sacrilego perché le snaturerebbe
A questo punto per chi ama sperimentare, l’unica cosa è “mollare gli ormeggi” e cercare un altro nome per quanto realizzato, ma qui ci si addentra in un sentiero impervio e scivoloso…
Una di queste preparazioni che per raggiunta perfezione sensoriale lascia non molto spazio alle sperimentazioni, pena lo snaturamento o peggio ancora la “fastfoodizzazione forzata”, e visto pure l’empio atto di un notissimo sito di ricette, che ha osato definirli “ciambelle” (?) sono i Taralli Sugna e Pepe napoletani (Taralli ‘Nzogna e Pepe).
Prodotto stratipico della città di Napoli, sono assorti negli anni al ruolo di componenti (non esagero!) del carattere cittadino, e possono ben fregiarsi dell’aggettivo iconico.
A Napoli e nei dintorni si trovano un po’ ovunque, da tempi non sospetti sono parte del vissuto quotidiano, mentre, più ci si allontana dall’antica città, magari pur restando nella stessa regione Campania, cambiano volto e concettualmente diventano diversi dall’archetipo originale.
Prima di tutto il Tarallo Sugna e Pepe, se fatto con tutti crismi della tradizione deve sbriciolarsi ma non disfarsi al morso.
Poi, deve essere friabile quanto basta e dal sapore deciso, anche e sopratutto per l’aromaticità balsamica del pepe nero (indispensabile!) ben percepibile insieme a quella delle mandorle tostate che, nella costruzione complessiva del gusto hanno un preciso compito: bilanciare l’insieme rendendolo meno invasivo e nel contempo più accattivante, includendo nel gusto complessivo anche la necessaria suadenza dello strutto (guai a chi osa la parola burro!). Taralleria Napoletana
Ideali come “sfizio” a fine pasto o, come cibo da strada così come sono accompagnati magari dalla canonica “birretta” sciuè sciuè da passeggio, se finiscono in buone mani come quelle di qualche bartender ben addentro nell’arte della mixologia, si dimostrano un gran apripista per accompagnare aperitivi e cocktail, anche a tendenza amarotica e/o blandamente alcolici.
C’è anche chi li sbriciola (è di moda…) su alcune pizze ma qui il discorso diventa troppo ampio ed articolato.
Tra quelli assaggiati negli ultimi tempi, spezzo una lancia per La Taralleria napoletana, storica attività che a Napoli negli ultimi anni si è data una organizzazione e un ruolo moderno, aprendo più punti vendita in città (assaggio docet) però senza snaturare ne’ il gusto ne’ la qualità di quanto offerto, osando anche qualche qualche variante che, riattualizzando il tarallo tradizionale senza troppi stravolgimenti, ne mantiene così la riconoscibilità e l’anima…
Ritrovarli e gustarli è stato un vero e proprio Déjà vu sensoriale che, mi ha riportato indietro nel tempo fino a quelli assaggiati da adolescente (ancora tiepidi) nello storico forno di Via Foria…
Taralleria Napoletana
Via San Biagio dei Librai 3, Napoli
Piazza San Domenico Maggiore 18, Napoli
www.tarallerianapoletana.com
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?