Sabato sera, sonnacchiosa cittadina di provincia, benestante.
Per motivi più o meno lavorativi ceno in “un” ristorante.
Affollato e pretenziosetto, arredamento in puro stile bianco-ovunque dalle sedie al bagno, post-Maria-de-Filippico insomma.
Tra i tavoli di tutto un po’, dai ragazzotti calati dal paesello per il sabato del villaggio (non Paolo…), al tamarro con Rolex & auto di grossa cilindrata parcheggiata occupando 4 posti fuori la porta.
Sfoglio il menù dei primi…
Sei su dieci hanno tra gli ingredienti la panna, neanche Susanna tutta panna ha mai osato tanto!
Solo una misera pasta e fagioli e tre zuppe vegetali si sottraggono all’abominio biancheggiante-copritivo di questo datato condimento che, ad essere magnanimi, è roba da universitari fuori sede anni ‘90… molto ma molto fuori corso!
Magari ai fornelli c’è davvero Susanna tutta panna, la bamboletta animata (anche gonfiabile) pitupitum – pa! testimonial di una nota marca di formaggini in voga dagli anni ‘60 in poi.
Chissà…
Così, ammesso e non concesso che in qualche piatto della cucina contemporanea un milligrammo di panna ci può stare, è uno spregio alla decenza unito a una presunzione stratosferica, il presentare in menù ben sei primi su dieci, al più di pasta, dove tra gli ingredienti compare la panna (in abbondanza).
Nel 2021 detestare la panna, intingolo coprente e ammazzasapori, o trovarla quantomeno obsoleta, non è una semplice opinione, è un preciso dovere morale.
Punto.
Rovinare ulteriormente degli strozzapreti già torturati da un malriuscito accostamento tra rucola, funghi e zafferano con la panna, e riproporre scontati ravioli ricotta e spinaci con prosciutto e funghi (e panna), è senza se e senza ma un oltraggio alla decenza gastronomica.
Dimenticavo… per dessert indovinate cosa?
Panna cotta!
A questo punto non mi tirate fuori il solito “i gusti sono gusti.”
No!
Qui, siamo di fronte a un disastro sensoriale diffuso, secondo forse solo ai tortellini panna e prosciutto, piatto sì tradizionale, ma parecchio sgrammaticato.
Punto.
Morale della favola: nell’anno di grazia 20121, e da qualunque prospettiva, anche quella archeogastronomica, tutta ‘sta panna è indecente e fuori tempo. Amen e così sia.
E… mi chiedo anche perché questi ultimi 25 anni che hanno trasformato radicalmente in meglio la ristorazione italiana, sembrano in più casi (come questo) non aver lasciato traccia ne’ in certa ristorazione ne’ in un certo tipo di clientela.
P.S. 1 – Prima o poi al ristoratore farò dono di un calendario, ne ha urgente bisogno: nessuno gli ha detto che siamo nel 2021, non nel 1991 o peggio ancora 1981…
P.S. 2 – Anche se vegetale la panna è sempre molto grassa, come dire… glicemia glicemia fegato mio portami via!
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?