Di Fabio Riccio
Alla fine non c’è scampo: allontanandosi dal terreno sicuro delle guide gastronomiche cartacee e dei (pochi, pochissimi) blog gestiti da persone che sanno quel che scrivono, si rischia di brutto.
Qualche sera fa’, con il mio amico “A” e relative consorti (“A” festeggiava l’anniversario di nozze) decidiamo di provare un ristorante nuovo, aperto da un po’ in zona, di cui ci erano arrivate notizie non proprio cattive, anzi.
Non prenotati, azzardiamo il colpo a sorpresa – nel peggiore dei casi, una pizzeria aperta pur la troveremo.
Appena superata la soglia, troviamo ad attenderci in assetto militaresco un ibrido tra la famiglia Addams e una raccolta di sculture (forse animate) di Fernando Botero. Indugiamo interdetti – alla fine ci accomodiamo.
Siamo i soli clienti. Atmosfera glaciale, facce tirate, gentilezza poca.
Ristorante solo di pesce
Tovagliato così così, bicchieri e posate antinfortunistici di una multinazionale scandinava del mobile.
Antipasto smisurato come quantità. Pane già affettato, “simil-ospedaliero”.
Passabili le cozze e lo sgombro, ma subito dopo si palesano dei gamberi sgusciati “misti”. Misti significa un po’ di freschi, e un altro po’ di quelli semi-invisibili surgelati da supermercato, il tutto malamente in vassoio con rimasugli di melone, che fa’ tanto “Milano da bere anni ’80” del secolo scorso.
Un polipo, scampato solo per mere ragioni anagrafiche al purgatorio, mostra il battistrada al limite dell’usura, così come la consistenza: in realtà è un pneumatico – il glutammato poi, impazza.
Gli scampi bolliti sono (forse) freschi, ma gelidi di frigo e di taglia “baby”.
Sorvolo sul resto…
Poi – arrosto di pesce, logicamente in bilico tra l’industria dei pneumatici e quella della refrigerazione. Da dimenticare.
I due primi di molluschi bivalvi sgusciati, con poveri e negletti legumi, arrivano presentati in tegami di terracotta, come quelli in vendita negli autogrill, con tre o più etti di pasta a cranio, alla faccia della miseria!
Il vino sfuso “frizzantino” non è potabile.
I rossi in frigo sono a + 2°, praticamente “uccisi”, e il bianco in bottiglia che prendiamo dopo è quasi abominevole, così come il suo produttore che per amor di patria non cito.
Rinunciamo al caffè e vari alcolici (super e non…) da fine pasto. Il conto?
Quattro antipasti, due primi, due grigliate, una bottiglia di vino, più un po’ di sfuso frizzantino Poco meno di 30 euro a testa – non tantissimo, ma sempre troppo, decisamente fuori misura rispetto quel che ci hanno propinato come menù ittico.
Alla fine, paghiamo senza battere ciglio. Penso e ripenso al famoso rapporto qualità prezzo, su cui si scrivono fiumi di parole inutili.
Il mattino dopo, meditavo su come siano stati superflui i soldi spesi dal mio caro amico “A”, soldi che di sicuro sarebbero stati meglio utilizzati in beneficenza.
Ripensavo anche… a quando qualche anno addietro da Salvatore tassa alle Colline Ciociare di Acuto (FR) ho speso 230 euro.
230 euro davvero ben spesi, esperienza memorabile, sensi stimolati al parossismo, sapori devastanti e stupefacenti. 23O euro in due in un ristorante si’ pluristellato, ma anche un oasi di resistenza all’appiattimento e alla banalità gastronomica imperante.
Una esperienza certamente da ripetere, appena ci sarà occasione.
Per certi canoni 23O euro in due è tanto – per me no.
Non ho certo possibilità economiche da nababbo, e non posso permettermi tutti i giorni esperienze culinarie del genere, anzi.
Però so bene che le cose davvero buone, e un certo di tipo di “genio” si pagano. Stop.
La differenza è tutta qui… il tutto si riduce a un problema di cultura gastronomica: con i medesimi 30 euro si può mangiar bene, pur senza arrivare a vette stratosferiche in moltissimi posti, ma non nel ristorante dove siamo stati, dove i 30 euro spesi sono stati un ladrocinio bello e buono!
Già… cultura & sottocultura gastronomica.
Se l’Italia fosse un paese di buona cultura gastronomica (e non…), un ristorante come quello sarebbe stato spazzato via dopo poco dal mercato, invece prospera, come tanti altri. Prospera, come prosperano tanti mediocri di tutti i generi.
Sul cibo (solo a parole) in Italia ce la tiriamo troppo…
Ma del resto, cosa c’è da aspettarsi da una nazione anestetizzata dove la maggioranza dei suoi abitanti usa per esprimersi non più di 200 parole, ad essere generosi?
Siamo ormai un popolo che confonde realtà e reality show.
Ci meritiamo ristoranti come questo di qualche sera fa’. Punto.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?