Di Fabio Riccio
Benché onnivoro per natura e per abitudini, stanotte ho fatto un sogno (di nuovo…) che è quelli di sedermi e mangiare in un ristorante senza nè carne nè pesce – per i loro derivati, onestamente non ricordo – a quel punto mi ero già svegliato…
Eh si direte voi, proprio tu che non ti fai scrupolo di nutrirti di qualsivoglia cosa che prima di essere cucinata si muoveva & dibatteva di vita propria?
Si: vorrei almeno una volta nella vita incrociare qualche ristorante che mi faccia provare un bel menù che non includa quelli che prima di arrivare nel (mio) piatto erano esseri viventi.
Direte voi… ma già ci sono in giro tanti di ‘sti ristoranti… tutti i vari “veg” “bio” etc etc di più o meno buona scuola e molteplici concezioni.
Vanno di moda, è indubbio.
No, non cerco uno di questi, cerco solo un ristorante senza nè carne nè pesce che faccia bene questo, ma senza etichette di sorta.
Cerco un posto normalissimo dove trovare questo menù, ossequioso però di tutti i crismi della corretta sintassi della cucina, senza che il cuoco o il ristoratore di turno mimetizzino la loro inadeguatezza con l’appartenenza a qualche sodalizio o setta, più o meno esoterica.
Vabbè che a noi Italiani divise ed etichettature piacciono molto, ma riuscire a trasfigurare una pasta e fagioli (senza cotiche eh!) in una ideologica dichiarazione di appartenenza a un “partito”, o a un furore integralista, non mi piace.
Eppure… questo sta diventando comune.
Il mio sogno sarebbe quello di gustare in questo ipotetico ristorante, magari “un non ristorante” come quelli che adesso vanno per la maggiore, un bel minestrone, ma senza “pipponi” ideologici dietro, solo perché è uno “speciale” minestrone vegano, bio-vegetariano, etno-venusiano o di qualsiasi altro diavolo di gruppo di idolatranti alimentari.
Un minestrone è un minestrone e basta. Stop.
Sogno solo di vedere un (bravo) cuoco mettere in pentola verdure e ortaggi, senza però doversi per forza palesarsi orgogliosamente vegetariano o membro di qualche “ismo”, come una sorta di fierezza esibizionistica da “ma quanto è bello: sono di minoranza!”
Chi vuole, bandisca pure se lo ritiene etico e giusto tutti i prodotti di origine animale, ma per favore… e per onestà intellettuale, rinunci al suo non sottaciuto godimento nel farsi chiamarsi vegano o altro.
Non di etichette e furori ideologici si deve campare, e ancor più mangiare, ma di giusta coscienza, abbracciando nei fatti, e non per moda o snobismo da “compagni ‘co i piccioli” dimensioni diverse, come le vere coltivazioni biologiche, la giusta e dovuta stagionalità, e la sensatezza ambientale del tanto decantato (e ben poco rispettato) chilometro zero, affrancandosi dall‘autofustigazione molto tafazziana da processione del venerdì santo del tofu e del seitan.
Se si vuole interpretare la propria peculiarità, basta farlo come fanno tutti gli altri ristoranti, cioè cucinando bene, evitando la tentazione di recludersi in un recinto, anzi: ghetto ideologico da setta di iniziati.
I ristoranti non sono luoghi di professione di fede o indottrinamento, ma imprese commerciali aperte al pubblico; non sono luoghi dove onorare e adorare qualcosa o qualcuno, bensì luoghi di nutrimento e convivialità, e quando molto buoni, anche di piacere per i sensi e di svago.
Chiedo troppo?
Fine del sogno.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?