Di Fabio Riccio,
Ospite a cena, tavolata con persone in parte sconosciute.
Per diplomazia & bon ton lascio agli altri la scelta del vino.
Per una sera dimentico il mio bias per i vini naturali, barattandolo con la convivialità.
A tavola (purtroppo) anche il solito “presunto espertone”, per suprema concessione senza giacchetta & tastevin, ma con una prosopopea da far paura.
Arriva il vino.
Un “vino convenzionale”.
L’assaggio.
Ben fatto, rispettabile, anzi viste alcune piacevoli note sensoriali fuori delle righe, sospetto che sia uno di quelli della cosiddetta “zona grigia” tra naturale e convenzionale.
Uno sguardo allo smartphone conferma: lieviti indigeni e in cantina “pulito” quanto basta, per il resto il produttore non si sbilancia.
Vabbè.
L’espertone: tre secondi tre di fulmineo assaggio(?), smorfia di disgusto, e bocciatura senza appello.
Interrogato a riguardo, metto da parte bon ton e diplomazia, e come mi consente l’articolo 21 della costituzione, pubblicamente dichiaro che invece (io) lo gradisco.
Un buon vino, ha solo bisogno di tempo, mentre per l’espertone, è solo roba da lavandino o da WC.
Si, qualche vaga puzzetta c’è, e anche un minimo di ossidazione.
Aggiungiamoci pure una traccia di volatile e un atomo di maderizzazione; in ogni caso bevibilissimo e piacevole.
Risultato?
Vini separati, e l’espertone sceglie, anzi: impone alla tavolata il solito insignificante vinello da signorina in tacco 12, compatendomi dall’alto della sua preparazione (pensiero unico) come un povero sciocco che non sa quel che dice e fa.
Nel frattempo, il mio semi-naturale, giusto tempo di rianimarsi si fa bello e scoppiettante.
Un bianco di 5 anni, monovitigno, mediamente complesso, adesso in bella forma.
La bottiglia è tutta per me.
I difetti, per meglio dire: i presunti tali, in gran parte svaniti.
Resta solo l’indizio di maderizzazione, e un vago spunto acetico.
Entro giusti limiti, per me sono pregi, non difetti…
In ogni caso un buon vino, mille volte più interessante dell’insignificante bianco scelto dall’espertone, vino con lo stesso fascino del “secchione” al primo banco, preparatissimo e senza un pelo fuori posto, ma così noioso e scontato, da risultare soporifero…
Due mondi a confronto, si.
Uno, pronto alla discussione senza palizzate, tantè che non ho problemi ad apprezzare un buon convenzionale, l’altro legato a schemi rigidi, dove chi giudica il vino non lo fa non per la sua intrinseca piacevolezza, ma SOLO per la mancanza (formale) di difetti e per l’aderenza a certi canoni, neanche il vino fosse un teorema matematico.
In effetti, ancora tanti strepitano che il vino è scienza…
In parole povere, piacevolezza e sensorialità che hanno infinite sfaccettature, a volte anche dissonanti, per un certo modo di intendere il vino vanno immolate sull’altare della perfezione formale, che spesso vuol dire noia.
L’espertone, semplicemente non ammette che il sapore del vino non è in linea con le sue aspettative e il suo pensiero, e che il vino non è affatto difettato, ma ha solo un sapore (per lui…) inatteso…
Però il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e, visto che siamo in tema enologico, fa le bottiglie ma non i tappi…
Per fortuna, a tavola qualche curioso invece c’è: il mio vicino.
Vedendomi allegramente sbevazzare il vino decretato come “da lavandino”, incuriosito rompe gli indugi e lo assaggia.
Gli piace!
Ne fa portare altre bottiglie e così, pian piano buona parte della tavolata (con gran scorno dell’espertone) abbandona quasi piene le bottiglie del vinello noioso e perfettino, e allegramente tracanna più bottiglie del mio bianco dalle tracce di volatile e maderizzazione…
Storia tristemente vera. Credo sia il caso di meditarci su, e forse di iniziare a pensare di ridiscutere seriamente i canoni con cui si giudica un vino…
Ridiscutere seriamente i canoni con cui si giudica un vino
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Io credo che bisognerebbe pensare al vino come un nutrimento della vita di un uomo..dello spirito oltre che del corpo.
Ed in ogni caso il vino è un percorso molto personale..
Il vino naturale è figlio dell’imprevedibilità (risultato finale non garantito) e dell’irregolarità (ogni anno è diverso)..
Ogni produttore dovrebbe spiegare cosa c’è dietro una bottiglia..parlando dei 3 elementi fondamentali che sono il luogo, il vitigno e la mano dell’uomo..
Ci sono parametri che andrebbero utuilizzati nella valutazione di un vino naturale e quindi digeribilità, vivacità, evoluzione nel bicchiere, bevibilità, senso del luogo, impatto emozionale, ecc…
Fabio perché non dire quali sono i due vini?
Assolutamente condivisibile. Sono sommelier AIS e la valutazione che si fa dei vini e’ inadeguata per i naturali.. Vanno riviste molte cose..ma c’e’ la volonta’ di farlo?
Volontà di farlo esatto… A mio modesto avviso, non la vedo questa volontà…