Ancora Vinitaly 2025
Tra padiglioni stipati, facce troppo sorridenti e vini che fanno di tutto tranne che parlare, incappi in un banco. Un banco vero. Finalmente.
Pochi fronzoli e bottiglie che non fanno il verso a nessuno, e un uomo che (finalmente anche questo…) ti guarda dritto negli occhi quando ti versa il vino. Renato Keber. Friulano “di confine” vero, tosto, come tanti da quelle parti con qualche radice in Slovenia.
Collio vero, e un contadino-vignaiolo di quelli che se ne vedono sempre di meno. Uno che parla poco, perchè preferisce far parlare le sue vigne.
Una di quelle voci: lo Zegla
Ora, sgombro subito il campo da ogni equivoco: qui non parlo del solito bianco inespressivo e ultrapettinato da apericena modaiola con musichetta sognante & tramonto in sottofondo incluso nel pacchetto.
Lo Zegla Friulano è un bianco che arriva dritto al cuore come una coltellata data con la mano a pugno: uno di quei vini che non ti chiedono il permesso per entrare, che non cercano approvazione, ma che se hai le papille vive e non omologate, ti prende e ti porta altrove.
Dove? A cavallo tra il confine e la cocciutaggine
Nelle pieghe di una viticoltura che non fa marketing e fuffa, ma che lavora, cammina, taglia, aspetta e soffre.
Ma poi… cosa diavolo è ‘sto Zegla?
Zegla prima di tutto è un toponimo.
Una microzona del Collio goriziano, quasi incollata alla Slovenia, che più che un cru è una fortissima dichiarazione di appartenenza. Lì, da quelle parti, le colline non sono bionde ondulazioni da stupido dépliant turistico, ma si piantano dritte tra il vento e la storia.
La terra è ponca — alias marne e arenarie che si sbriciolano sotto le dita quasi come fanno certi ricordi — e le viti ci crescono rabbiose con fatica, col sudore, ma anche con quella autenticità che solo certi luoghi particolari sanno provocare.
Renato Keber lì ci è nato decidendoci di restare. Nonostante tutto.
Nonostante le mode, magari gli inviti a produrre “robe più internazionali”, quelli che io chiamo le “genuflessioni da enoteca chic”, insomma.
Lì ha deciso di coltivare le sue uve in regime biologico senza trucchi e senza inganni, vinificando con lieviti indigeni, senza chiarifiche, e lasciando che il vino faccia il suo mestiere — in cantina, in bottiglia e poi, finalmente, nel bicchiere.
Il suo Zegla Friulano non è mai uguale a se stesso, almeno non in tutte le annate, ma è profondamente coerente. Anzi: testardo.
Nelle annate più dritte graffia, in quelle più calde pare si faccia più carnoso. Ma mai banale. Mai ruffiano. E soprattutto: mai addomesticato.
L’assaggio al banco
Al Vinitaly ci sono vini che si bevono per cortesia, altri per piaggeria, altri ancora solo perché te li ritrovi davanti.
E… poi c’è lo Zegla friulano di Keber, che bevi perché il primo sorso ti accende una scintilla, il secondo ti costringe a restare e Il terzo (eventuale), a cercar subito casa in Friuli…
Versato da Renato in persona, con mani da vigna e occhi da chi ha visto passare più stagioni che storie su Instagram, lo Zegla Friulano si affaccia subito in calice con un giallo dorato vivo e teso.
Al naso, niente scontata frutta tropicale da discount enologico. Ma pietra, erbe di campo, camomilla, scorza di agrume, resina, e quel tocco di cantina “della nonna” che spiazza e ammalia.
Al palato è una lama, affilata. Ma anche una lama arrugginita dal tempo e dalla verità. Ampio, salato, lungo, e con un finale amarognolo che ti fa dire:
Diamine! Questo si che è un vino!
E… mentre lo bevi, Keber mica ti chiede “ti piace?”.
Ti guarda e basta. Perché da buon friulano parco di parole, lo sa: se capisci, capisci. Se no, pace. Il vino è per chi lo merita.
L’azienda? Una famiglia.
La cantina di Keber mica è una start-up fighetta.
Mica è una “realtà giovane e dinamica”.
È una famiglia che resiste, con le unghie, con il cuore e con la vigna.
Zegla è vicino a Cormòns, terra che ha visto e subito imperi e cadute, ma dove il vino è sempre stato un linguaggio, mica un prodotto in serie, così è bello. .
L’azienda è piccola, artigianale, con poche bottiglie che finiscono in fretta.
I Keber non inseguono numeri e amano sapere dove finisce ogni bottiglia. E se il vino non è pronto, non esce. Punto.
Nessuna certificazione ostentata, ma trasparenza radicale nei fatti.
In vigna si lavora solo a mano. In cantina si usano botti grandi, nessun intervento correttivo, e un tempo che non ha fretta.
La Ribolla, a volte, pare faccia anche qualche giorno di macerazione…
Ma guai a parlare di “orange” in senso modaiolo. Qui si fa come si faceva, ma con consapevolezza. E con la lucidità di chi sa che il vino naturale non è un’etichetta, ma un atto di responsabilità, un atto politico forse.
Perché uno come Keber oggi è necessario?
In un mondo del vino sempre più stereotipato, dove anche certi “naturali” sono scivolati in una estetica fighetta da replicare in grande tiratura, Renato Keber è uno dei disubbidienti, proprio uno di quelli che mi piacciono…
Non si mette in posa. Non fa concessioni. E soprattutto, non si piega a chi vuole raccontare il Collio come un luogo ormai addomesticato, da rivista patinata.
Renato Keber è un confine. Un linguaggio antico.
Un vino dove l’unica puzza che c’è è quella della verità.
Tutto sa di silenzi.
Sa di bora e di marna. Sa di vigne che non ce la fanno più, ma che continuano a produrre qualcosa che proprio per questo non somiglia a niente.
Chi ha la fortuna di incontrare Renato Keber al banco lo capisce subito: non è lì per vendere. È lì per raccontare qualcosa, e ci riesce bene.
E il suo vino, alla fine, parla anche per tutti quelli che quel territorio lo lavorano, lo abitano, e lo amano davvero.
Bravo Renato!
Azienda Agricola Keber Renato
Località Zegla, 15,
34071 Cormons (GO)
Tel. 0481 639844
http://www.renatokeber.com

Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Food, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?