Di Fabio Riccio
Premetto che per mia precisa scelta, non partecipo a questa “kermesse” (chiamarla fiera è ormai riduttivo, visto la portata della manifestazione) da sette o forse più anni.
Niente di personale, solo che non mi piace più, non mi emoziona, semplicemente perché non gratifica più le mie esigenze forse un po’ settarie, forse un po’ snob, di gran curioso dell’eccellenza quale mi ritengo.
Per carità, Il Vinitaly rimane sempre un evento importantissimo, insostituibile dal punto di vista commerciale e di promozione dell’immagine. Una vetrina internazionale di questa “forza”, non è facile trovarla sia in Italia che all’estero. Quindi, per molti anni ancora, il Vinitaly rimarrà una preziosa piazza per fare affari nel mondo del vino.
Però per me, modesto appassionato incessantemente alla ricerca della qualità, e di un rapporto stretto, anzi strettissimo con il territorio, e abbastanza “di parte” nel preferire il variegato e sfumato mondo dei vini naturali, questa vetrina gigantesca, e ardua nelle sue dimensioni per un comune mortale da visitare tutta, ormai non attira più.
Tornando ai motivi che mi portano anche quest’anno a non andare a Verona, c’è ancora vivo il ricordo di una sensazione di straniamento per la dimensione gigantesca di tutta la Kermesse. Troppi espositori, troppa carne al fuoco, anche se certe, e dovute divisioni settoriali, in passato mi sono state di aiuto per trovare cose adatte ai miei gusti.
Una delle cose che mi ha dato più fastidio, e parlo di tutte le edizioni a cui ho partecipato, sono stati certi stands di alcuni “importanti padroni” del vino (chiamiamoli così…), che con profusione di venditori decisamente aggressivi e fuori luogo in una manifestazione del genere, e abbondanza di sgambate hostess, provavano in ogni modo ad allettare i visitatori più appetibili (importatori esteri e commercianti nostrani ancora non troppo esperti del settore) per rifilargli mirabolanti promozioni (dei loro vini), di cui connotati principali erano certamente una correttezza tecnica, e la totale assenza di difetti all’assaggio, ma carenti di “anima” e di leggibili riferimenti territoriali.
Venditori aggressivi di poco credibili polpettoni di annate, spacciati per vini imperdibili. Rappresentanti di vitigni internazionali magicamente trasformati in “tipici” di ogni angolo di Italia e del globo. Cantine che producono vini in quantità inusitate, che guardando al numero di bottiglie prodotte, e la superficie dell’azienda, lasciano sconcertati. Ma l’uva da dove arriva?
Ma non sono solo i venditori che ronzano su ogni potenziale cliente come insetti sul mosto, che mi hanno portato a non frequentare più la fiera veronese.
Del “palcoscenico” veronese, non sopporto più certi enologi di grido, che fanno atto di presenza (o meglio dire, di passerella). A ben vedere, questi enologi non mi sembrano più esseri umani, ma come il Michel Rolland del film Mondovino, sono diventati vere e proprie industrie che dettano legge e tendenze a tante, forse troppe cantine in Italia e nel mondo.
Questo tipo di enologi, tecnologicamente bravissimi e stracompetenti dal campo alla cantina, (e in Italia ne abbiamo molti esempi) non disdegnano però in alcuni casi di avere interessi economici diretti che vanno ben oltre il loro “cachet” nelle cantine che dirigono, o dove fanno consulenza. Cosa lecita, si, ma… eticamente corretta?
Enologi che impudentemente parlano a gran voce dei loro referenti politici, enologi che alla fine di tutta la giostra, vanno a braccetto solamente con il promuovere e vendere solo le loro imbottigliate e incontrovertibili verità, tutto il resto per loro è noia, e in certi casi insulto e alterigia…
Non parliamo poi di certe (non tutte eh…) degustazioni fatte per incensare oltre ogni limite vini certamente corretti, ma non memorabili, e relativi i convegni creati a bella posta, ma sempre con lo scopo (neanche sottaciuto poi) di magnificare il produttore tal dei tali o il distributore tizio…
Infine, lasciatemi togliere l’ennesimo sassolino dalla scarpa. Non sopporto più i troppi “enosaccenti” ed esperti vari che da sempre gironzolano in tutti gli stands.
Gli enosaccenti, sono una specie molto diffusa in Italia, quelli più dotati di talento commerciale talvolta sono anche autori di pubblicazioni al più autoreferenziali, dove il lettore smaliziato e con un minimo di conoscenza del mondo del vino, non avrà difficoltà a comprendere che il fare “marchette” è pratica di tutti i giorni.
Premiazioni e valutazioni di ogni sorta, fatte solo per sbalordire e dominare la platea dei tanti onesti ristoratori e enotecari (sempre possibili acquirenti) che, magari hanno anche chiuso bottega per qualche giorno, per andare a Verona con l’intento di rifare la carta dei vini.
Purtroppo i tanti consumatori, e con questo termine non indico solo i “privati” ma anche ristoratori, commercianti, enotecari etc etc meno esperti, che quasi sempre seguono acriticamente le mode, sono facili prede dei vari “squali” che vogliono solo vendere.
La ricchezza del mondo del vino è una perla quasi sempre nascosta tra le righe, e scovarla richiede molta attenzione e una gran dose di apertura mentale.
Morale della favola… alla fine la stragrande maggioranza dei visitatori non istituzionali, al Vinitaly si fa’ dirottare mansuetamente verso i produttori dai nomi più blasonati (spesso solo per i forti investimenti pubblicitari).
Esemplificativo è il vedere le differenti misure degli stands.
I piccoli stands (almeno per quelli che con fatica si sono potuti permettere l’investimento) rimangono come schiacciati, sopraffatti e messi in ombra da quelli che nell’allestimento e arredamento sonoi piùgrandi, e spesso anche decisamente kitsch con abuso di materie plastiche modellate nelle più fantasiose forme.
I grandi stands, sono quasi semprea appannaggio di aziende dal fatturato a parecchi zeri, aziende che togliendo qualche “chicca” relegata nelle pieghe dei loro cataloghi, nella maggior parte dei casi producono vini spesso stereotipati, banali, dalla comunicatività sensoriale “semaforica”, come la nota bambolina californiana di cui parlo nel manifesto di gastrodelirio vedi: https://www.gastrodelirio.it/manifesto-di-gastrodelirio/ – insomma, vini furbetti fatti per accontentare il mercato e compiacere un pubblico di bocca buona.
Questi luoghi kitsch, dove più che il vino è l’immagine che è protagonista, sono sempre affollati di ospiti (molti gli scrocconi…) di tutte le più disparate tribù umane, talvolta uniti solo nella non conoscenza dei fondamentali di cosa è realmente un vino, e da una prosopopea francamente irritante.
Agenti, rappresentanti e distributori sguazzano famelici in questi stands (lasciando logicamente vuoti quelli dei produttori di valore).
Agenti e capi area (come uno che ho conosciuto anni fa’ che ha fatto addirittura carriera) che, tecnicamente non preparati, se interrogati spesso non sanno nemmeno quale è il vitigno, il metodo di produzione o il numero di bottiglie di una annata delle etichette che vendono – (ma forse ‘ste cose non le sanno neanche certi produttori, visto che spesso l’uva viene acquistata dove più conviene…).
Per fortuna però, ci sono tante belle eccezioni, e non solo tra i piccoli e coraggiosi produttori che utilizzano intelligentemente la fiera veronese come occasione commerciale, ma anche tra i più attenti dei grandi produttori, che, guarda caso, abilmente scelgono il basso profilo (che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo – Nanni Moretti Ecce Bombo), visto che spesso non hanno nemmeno un loro stand, (si appoggiano a quelli “istituzionali – qualche volta a qualcosa servono…) limitandosi a programmare incontri mirati, riservati a pochi, ma almeno di buon gusto e civiltà. Ecco, anche per questo quest’anno ho scelto di non andare al Vinitaly
Ora, secondo voi… vale ancora la pena per un modesto appassionato (come lo scrivente) di andare a Verona?
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Concordo con l’articolo al 100%, complimenti!
Per chi vuol fare affari il Vinitaly è ok, per chi ama il vino non è proprio il posto adatto, troppo grande, dispersivo!!!