Di Fabio Riccio,
Con la pizza sono certamente di parte.
Tutto quel che è, ed è diventato il mondo della pizza (nazionale e non), ha le radici in un’unica progenitrice, anzi: nell’archetipo, la pizza napoletana.
Da li parte la storia… Pizzeria giangi
Il resto, sono chiacchiere da Bar.
Della storia, e delle evoluzioni (e involuzioni) di questo caposaldo della italica cucina, ne ho già in dettaglio scritto in passato – vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/riconoscibilita-della-pizza/2017/08/
Dei vari “modelli” di pizza emersi negli ultimi anni, uno dei più interessanti (ma anche controverso…) è il cosiddetto modello di “pizza degustazione”, da alcuni definito anche “pizza gourmet”.
La “pizza degustazione” copernicanamente ribalta di 180 gradi l’archetipo della pizza originaria, un unicum sensoriale di base e farcitura, che trova il suo compimento in una cottura rapida e violenta.
Nella pizza “degustazione” invece, il disco di pasta, in genere cotto in precedenza a temperature non eccessive, viene invece usato come supporto per quello che ci verrà messo sopra, con il tocco finale della guarnizione, e di una veloce ripassata in forno (non sempre…) per amalgamare quanto basta i sapori.
Un qualcosa tra la pizza e la cucina vera e propria…
Un modello, almeno dal punto di vista sensoriale, in ogni caso non semplice da realizzare per bene.
Manca, oppure c’è solo in parte, la “fusione” tra il corredo sensoriale del disco di pasta e quel che ci si mette sopra.
Una cosa che cambia molto le carte in tavola.
Tutto è affidato solo alla corretta esecuzione del disco di pasta e a quel che ci si mette sopra, che per dialogare tra loro, giocoforza dovranno rispettare a perfezione la sintassi dei sapori.
Qualcuno fa bene questo, molti altri no, non nascondiamoci.
Il perché di questo è presto detto: è il tallone di Achille di molti pizzaioli, cioè il saper manipolare bene gli impasti.
Troppi dei pizzaioli che hanno abbracciato il modello della “pizza gourmet”, se “ripuliti” dall’aura di mediaticità che li circonda, e “dall’effetto novità”, alla prova dei fatti non sanno come far lievitare una pasta correttamente, e ancor più non sanno come stenderla nel modo più appropriato. Punto.
Molti, vengono dal meraviglioso e variegato mondo della panificazione, di per sé una vera e propria arte.
Mondo affascinante, ma pur se imparentato e in certi casi afferente al mondo della pizza, un mondo che si muove con dinamiche e tecniche diverse.
Un buon panettiere non per forza sarà un buon pizzaiolo.
Un buon pizzaiolo non per forza sarà un buon panettiere.
Punto.
Ho assaggiato molti “modelli” di queste pizze gourmet.
Tolti i mirabolanti miti pseudo-salutisti di una intrinseca “bontà” dei grani antichi fatti lievitare (?) per settimane intere, (in realtà solo “grani vecchi”), che tanto vanno per la maggiore, alla prova dei fatti, ho visto poche, davvero poche “pizze gourmet” preparate con un impasto fatto per bene.
Impasti mal lievitati al limite dell’azzimo spacciati per digeribilissimi solo per il fatto di usare l’ultimo grido in fatto di cereali miracolosi.
Tanta protervia nello strombazzare presunte abilità strabilianti (magari apprese da YouTube) nel far lievitare cereali dai nomi esotici ed esoterici, che al contrario di quel che tanti gridano, sono spesso meno digeribili delle tradizionali farine.
Prima o poi mi aspetto che qualcuno prepari una “pizza” fatta con farina di Tritucum originale del terzo secolo A.C. dalla Mesopotamia.
E… voglio vedere se usandola in purezza, gli lievita degnamente o meno!
Un elenco esaustivo di queste devianze istericamente modaiole sarebbe lungo e impietoso, almeno mettendo il tutto sotto la lente d’ingrandimento della razionalità, cosa decisamente assente nell’Italia e negli Italiani medi di inizio millennio…
Fatte queste cattivissime premesse, ora voglio spezzare una lancia per uno dei pochi che la pizza gourmet la fa davvero bene, con sapienza.
Una rarità credetemi, in un panorama come quello della pizza gourmet, dominato da pseudo-salutisti mediatici, che confondono con i sapori con i piccoli e grandi schermi.
Pizzeria Giangi Arielli (CH)
Piccolo.
Interno luminoso e moderno, efficiente e con tocchi di eleganza.
Posto a lato della statale che dal casello autostradale di Ortona porta verso Orsogna, Guardiagrele e altre località abruzzesi, la strada per la Pizzeria Giangi ha per sfondo la maestosa Majella, e ai lati una infinità di aziende vinicole e altre attività industriali, in maggioranza legate all’agroalimentare, segno di una buona vivacità imprenditoriale.
Una sorta di “paese diffuso” lungo la strada…
Dentro, sorprendentemente, dal tovagliato passando per i bei dettagli di una cucina (forni) a vista, fino ai calici giusti per il vino, è più un ristorante tout court che una pizzeria.
Anche alla Pizzeria Giangi non si rinuncia alla giusta dose di mediaticità.
Alla fine è un passaggio (quasi…) obbligato della nostra epoca, ma al contrario di altri, in zona e non, nei piatti della Pizzeria Giangi arriva davvero qualcosa di buono, molto buono, che smuove per bene le corde sensoriali, mica quelle mediatiche.
Prima di tutto gli impasti.
In una vetrina fa bella mostra di se un sacco della farina Petra.
Buon segno, buona partenza.
Adocchiando il termometro del forno (elettrico), due temperature.
Sopra, per i dischi di pasta, è inchiodato sui 300°. Sotto, dove si riscalda, molto meno.
Giusto.
Ottimo biglietto da visita, per un locale da pizza gourmet.
Il menù della Pizzeria Giangi è chiaro, leggibile ricco di informazioni.
Molti degli ottimi prodotti utilizzati per la farcitura, delle pizze sono presidi Slow Food, e non solo del territorio.
La carta dei vini è di insolita ampiezza e sagacia, ben più ricca che in tanti ristoranti.
Partendo dall’impasto, aprendo con le dita il cornicione è evidente una alveolatura degna di nota, segno precursore di lievitazioni e maturazioni giuste, non so se frutto di un “impasto diretto”, di una “biga” o addirittura di una idrolisi, ma bene fatta.
In ogni caso, tutto il processo è perfettamente eseguito.
I piacevoli e accattivanti sentori gustativi e olfattivi, che da alla Pizzeria Giangi con l’uso di farine di qualità sono evidenziati negli impasti, se da una parte sono parte fondante del corredo sensoriale, dall’altra rendono meno facile “decriptare” anche ai nasi e palati più allenati la tecnica con cui è stato realizzato l’impasto.
Anche il menù delle pizze, indiscutibilmente ampio e articolato, dal punto di vista della costruzione dei sapori ha scelte intelligenti, spesso votate alla stagionalità.
Tra le tante, noi abbiamo assaggiato in primis una ottima abruzzese con baccalà, peperoni di Altino e scaglie di mandorla, una con culatello di Zibello e Burrata, e dulcis in fundo la margherita Petra, ottima anche lei.
Un piccolo inciso per la margherita.
Ammetto che la Margherita Petra della Pizzeria Giangi, è stata una delle poche, anzi pochissime margherite gourmet che mi è piaciuta senza riserve.
Caso raro una buona margherita in questa tipologia di pizzerie.
Molti pizzaioli “gourmet” che magari lavorano anche correttamente su questo genere di pizza, sulla margherita ruzzolano malamente, a cominciare da come la stendono, per finire con l’eccessivo biscottamento del tutto.
Date un occhio alla miriade di filmati disponibili su Youtube…
Non è il caso di quelle della Pizzeria Giangi.
Andateci.
Pizzeria Giangi
Via Valle, 27
66030 – Arielli (Chieti)
Tel. 320 644 1223
Chiuso Il martedì
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?