Di Fabio Riccio,
In Italia, il mondo della pizza ha imboccato più strade.
Partendo da quella che è alla base di tutte, cioè la napoletana, sono nati una infinità di stili e modelli.
Certi, sono solo evoluzioni e adattamenti ai gusti locali del modello alla base dell’albero genealogico.
Altri, pur legati al concetto di pizza per le interessanti e validissime tecniche usate, e per la bella coniugazione della grammatica dei sapori, sono però diventati qualcosa di molto diverso, tanto che in certi casi definirle pizze tout court è difficile.
Forse, e Darwin lo insegna, vista l’evoluzione della specie, bisognerà avere anche il coraggio di trovargli un altro nome…
Però, come per tutte le umane faccende (pizze comprese) ogni tanto volgere lo sguardo al passato e alla storia non è male.
Così, il ri-nascere codificato in dettaglio, un modello di pizza estremamente territoriale relegato al mondo dei ricordi di quando le nonne ricamavano sedute fuori casa, non può che far piacere…
Pizza ammaccata cilentana: arduo trovare la sua casella nell’albero genealogico della pizza, anche perché non nasce come preparazione a sé stante, ma come strumento empirico per testare la temperatura del forno.
In virtù di questo era detta anche “pizza del sabato”, giorno nel mondo contadino dedicato alla panificazione.
Però, le regole non scritte della civiltà contadina proibivano di buttare qualsiasi cosa edibile, e così anche questi impasti ovali fatti con pasta di pane, e noti in Cilento anche come Rianata, Pizzidda e Ammaccata, venivano conditi a mo’ di pizza con quel che c’era sottomano in dispensa.
Semplificando all’estremo, queste sono le origini della Pizza ammaccata cilentana.
Ma come è fatta e… cosa più importante, di cosa sa?
In primis il nome, già un programma, perché evidenzia la lunga e particolare manipolazione dell’impasto, realizzato ammaccandolo a mano in una madia in legno esclusivamente farine di alcuni grani teneri (e in parte duri) tradizionalmente coltivati in zona da secoli, acqua, lievito madre e pochissimo sale.
Grani questi, certamente più espressivi dal punto sensoriale di quelli che ora vanno per la maggiore, sono però meno generosi nel creare le giuste maglie glutiniche, e proprio in virtù di questo, impongono tempi più lunghi per manipolazione, lievitazione e maturazione – (N.d.a. – aborrisco il termine grani antichi perchè abusato da un certo tipo di marketing, fuorviante e tecnicamente discutibile)
Il forno – Non è quello classico a cupola – ormai diffuso anche fuori dai circuiti della pizza napoletana – sempre a legna, ma più basso nella volta e con geometrie, temperature e proporzioni diverse, fattori questi che impongono differenti stili di cottura.
L’aspetto – Come già accennato, non siamo di fronte alla classica pizza tonda. Ideale per essere condivisa, la Pizza ammaccata cilentana ha un aspetto rettangolare con angoli ben smussati, ed è più alta della sua consorella partenopea.
Di cosa sa – La prima cosa che verrebbe da dire è che sa di pizza… vero, ma alcune differenze la rendono peculiare.
L’impasto – Pur se soffice e ben lievitato, data la sua origine panificatoria in bocca si palesa con un morso ben diverso dalla pizza napoletana, ma anche ben lontano anche certe esasperate iperalveolature di altre scuole di pizza.
Punto di vista olfattivo – l’impasto della Pizza ammaccata Cilentana ha il suo punto forte nel suo ben intrecciare le note vagamente acide del lievito madre con il panoso di vecchia scuola.
La costruzione del sapore – Pietra angolare della tradizione, è la pizza condita solo con pomodori locali (il quarantino rosso), in precedenza cotti in un soffritto di olio, aglio e cipolla e spaccati in quattro con le bucce.
Prima di finire sulla pizza, bucce, aglio e cipolla sono tolte, e viene aggiunto un filo d’olio insieme a dell’origano di montagna.
Il tocco finale è prerogativa di una bella spolverata di cacioricotta caprino che, con il suo “spin” sapido e caseario, chiude il riuscito cerchio dei sapori tra l’impasto e quel che c’è sopra.
Però… visto che il Cilento è luogo d’elezione di tanti bei prodotti, anche di questa pizza non mancano altre belle interpretazioni rigorosamente territoriali, come la schietta, condita con aglio, olio, origano e alici di Menaica, e quella con le foglie, cotta a guisa di calzone con erbe e verdure di campo secondo stagione, anche qui con alici di Menaica e olive Salella (anche loro ammaccate: si, siamo in Cilento!) e cacioricotta di capra.
Gusti solo a prima vista semplici, ma in realtà piacevolmente complessi ed efficaci nel titillare al meglio le papille gustative.
In conclusione – Tutta l’operazione di recupero e di attualizzazione della Pizza ammaccata Cilentana è davvero encomiabile. Punto.
Meritoriamente si è recuperato un pezzo di memoria (anche del gusto) locale, ma nello stesso tempo anche un tassello perduto nella storia dell’evoluzione della pizza.
Tre secoli e più di continue evoluzioni, affinamenti e stadi intermedi, per dare dignità a quelli che erano solo poveri dischi di pasta di pane cotto, a malapena conditi con sugna e basilico, in quel che ora è la pizza che tutti noi conosciamo e amiamo.
Per la cronaca, l’antica Pizza Cilentana Ammaccata® è un marchio registrato e dal febbraio 2020 è entrata nell’Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT)
Il viaggio in questo bel sapore del passato, lo si può iniziare dal ristorante Villa Marchesa a Castelnuovo Cilento (SA), dove Cristian Santomauro, giovane ingegnere prestato all’arte bianca, è l’artefice di questa interessante operazione di recupero filologico di un bene a rischio di scomparsa.
La Pizza ammaccata Cilentana oltre a essere gustosa e saporita, è il punto di partenza per un bel viaggio nel tempo…
Villa Marchesa – Località Chiusa di Santa Maria,
Via San Nicola 25 – 84040 Castelnuovo Cilento (SA)
https://www.pizzacilentana.it/
info@villamarchesa.com
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?