Di primo acchito l’italiano medio non collega la Liguria al vino in generale.
Errore.
Qualcuno, magari dopo averci pensato un po’ osa accennare a qualche bianco da “viticultura eroica” alle cinque terre.
Riduttivo.
Pochissimi quelli invece al corrente che anche in Liguria ci sono rossi di rango, alcuni di questi anche ascrivibili senza se e senza ma allo sfumato mondo del vino naturale, come il Molto nero.
Molto Nero Cantine Mortola
Rosso in tiratura limitatissima, per il quale spendo qui un aggettivo che utilizzo con parsimonia: strepitoso (oltreché godibile).
Vigneti sparpagliati tra Sestri Levante, Framura e la più nota Vernazza, zone queste dove in vigna o si lavora esclusivamente in modo eroico e manuale, oppure si corre il rischio di schiantarsi in qualche dirupo.
Uvaggio del Molto nero?
Oddio… domandona da più di miliardo di dollari.
C’è molto ciliegiolo, ma in realtà, il preciso uvaggio del Molto Nero non lo sanno neanche i due giovanissimi (con nonno al seguito) che si sono buttati nell’impresa di fare vino, Leonardo Mortola e Natan Casagrande.
Qualcuno, lo ha definito un blend di uve sconosciute.
La cosa lessicalmente ci sta, ma più prosaicamente l’uvaggio è figlio legittimo del suo terroir, termine che sta ad indicare tutto un insieme di pratiche (culturali, di tradizione e di territorio).
In questo caso, le vigne sono quelle di una volta, dove coabitano nella stessa parcella e magari nel medesimo filare più varietà, selezionate solo dal lavoro delle generazioni precedenti e dal palato di chi il suo vino lo voleva proprio “così”.
Dunque, tradizione e giusta dose di modernità.
Buon manico ed estrema igiene (e niente chimica, riduzioni, lieviti selezionati osmosi inversa etc etc, per non dire zero SO2 aggiunta) sia in vigna che in cantina.
C’è l’idea (forte) di fare vino in maniera estremamente “pulita” come e meglio di chi li ha preceduti, senza cedere alle sirene tentatrici dell’enologia convenzionale che appiattisce sensorialmente troppi vini sull’altare del business e dell’omologazione.
Il risultato in calice è stupendo, a condizione di berlo sui 18° – 20°, perché a mio personale avviso, il Molto Nero come altri “rossi naturali” a temperature inferiori rischia di essere afasico sensorialmente.
L’esordio al naso è una giostra di frutti rossi, ribes e lamponi stramaturi e spezie che, dopo l’evoluzione, virano su note un attimo più balsamiche, quasi da pepe bianco.
molto nero
Al palato è agile, di discreto corpo e non avvolge oltremisura, ma anche di bella freschezza per i tannini punzecchianti quanto basta a puntellare e rendere ancor più fluida la beva, a dispetto del finale non lunghissimo ma di certo piacevole.
Tecnicamente impeccabile, non palesa difetto alcuno.
Immediato, fremente e fuori dal coro, di certo regala non trascurabili attimi di felicità.
Da bere a secchiate, senza ritegno!
Leonardo – 347 443 0701
Email: leonardo.HOTTUNA@yahoo.it
Via della chiusa, 71
Sestri Levante (GE)

Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Food, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
un grande merito di Gastrodelirio è di essere sempre attento a quello che succede,
una piccola cantina di due ragazzi e 1000 bottiglie, ne sentiremo parlare.