Di Fabio Riccio,
A Marina di Camerota (SA) bella località della costa cilentana c’è la Taverna del Mozzo, un piccolo e bel locale di un giovane chef, Davide Mea, del quale noi di Gastrodelirio già ci siamo occupati, vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/davide-mea-la-taverna-del-mozzo/2017/07/.
Davide Mea, senza troppo clamore è riuscito a creare un suo peculiare (e interessante) modo di fare cucina strettamente legato al territorio. Un “modo” forse ancora da assestare definitivamente, ma in definitiva un buon esempio di una bella e moderna cucina che, salvo passi falsi, non può che progredire ancora.
Fin qui i fatti, ma Davide Mea è uno che nella sua cucina prova a metterci sempre di più, almeno dal punto di vista emotivo e nell’ottica del rispetto e della valorizzazione del territorio.
E… proprio in quest’ottica di interpretare in modo intelligente e non scontato il territorio, in questo caso il Cilento, terra davvero ricca di tanti prodotti di eccellenza (e di rarità!), Davide Mea ha iniziato un bel lavoro in bilico tra storia e sapori sul Maracuoccio.
Non sapete cosa è il Maracuoccio?
Semplice, ve lo dico subito!
Un minuscolo e particolarissimo legume, ora un (bel…) po’ dimenticato, ma dalla lunga storia.
Un tempo coltivato e comunissimo quasi ovunque sulle coste di tutto il mediterraneo, ora lo si ritrova quasi esclusivamente, e in piccolissimi appezzamenti, in Cilento in particolare nella località di Lentiscosa, poco lontano da Marina di Camerota.
Intendiamoci: il Maracuoccio nelle case del Cilento è sempre stato una presenza costante, almeno fino a qualche anno addietro.
In questo caso la parola “addietro”, sta a indicare tempi neanche tanto lontani, quando il Maracuoccio era ancora uno degli alimenti base della “dieta mediterranea” dei contadini e dei pescatori del luogo, proprio gli stessi studiati dal noto biologo statunitense Ancel Keys nei suoi lunghi anni passati a Pioppi.
Un caso?
Il Maracuoccio come pianta appartiene al ceppo del genere Lathyrus, quindi è (e non solo esteriormente) un parente in sedicesimo della più nota Cicerchia, e come già scritto, sulle tavole del Cilento è sempre stato protagonista indiscusso di molte ricette.
Una volta liberato dalla prigione del suo bel baccello, il Maracuoccio si presenta con forme irregolari e colori mutevoli, dal verde scuro al marroncino, per arrivare perfino al rossastro, molto spesso screziato o marmorizzato, mentre al gusto è un po’ amarognolo ma accattivante.
Fin qui forme, colori, tradizione e recupero, anzi: il dovuto soccorso per non fare estinguere di questo interessante e raro legume.
Però, le belle parole, gli articoli patinati dai toni enfatici e anche i passaggi televisivi da soli non bastano.
Ci vogliono fatti, e concreti anche.
Il Maracuoccio rischia di finire nell’oblio, che spesso è la l’anticamera dell’estinzione.
Se il Maracuoccio non trova una sua collocazione, un suo mercato che permetta a chi ostinatamente ancora lo coltiva di farne reddito, la faccenda si mette male.
Partiamo da questo.
Per fortuna il bravo Davide Mea che, come puntualizzato prima, è uno chef molto attento al suo territorio, si è messo a lavorare sul Maracuoccio provando intelligentemente a ri-attualizzarlo e inserendolo sotto varie forme nel menù del suo piccolo ristorante, trasformandosi così nei fatti in uno dei suoi ambasciatori.
Intento e risultati doppiamente meritori.
In primis perché il palcoscenico di un piccolo ma ben frequentato ristorante, oltretutto sito in una località di villeggiatura nota e apprezzata come lo è Marina di Camerota, è forse il giusto trampolino per far apprezzare questo minuscolo legume a un pubblico più vasto e meno autoreferenziale rispetto a quello locale, e poi perché Davide Mea sta usando per far conoscere il Maracuoccio a chi visita la sua Taverna del mozzo la… maracucciata.
Si, il Maracuoccio come altri saporiti suoi “colleghi” legumi lo si può fare in zuppa, in umido, magari con la pasta etc etc…
Ma visto il gusto tendente all’amaro, l’uso “in purezza” non è il meglio, almeno per un certo tipo di pubblico non abituato a sapori “poco rassicuranti” come può esserlo l’amaro.
Quindi… la maracucciata, una specie di polenta che si ottiene da un mix per metà fatta di maracuoccio vero e proprio, e per l’altra da grano saraceno, ceci, farro, favino e cicerchie si è rivelata un ottimo cavallo di Troia per far conoscere il legume da cui deriva a un pubblico più vasto.
La Maracucciata è una preparazione adatta sia come contorno, che come piatto unico.
Un qualcosa dal sapore certamente deciso ma anche gradevole, dove l’amaro del Maracuoccio vero e proprio è stemperato quanto basta da gli altri sentori aromatici del mix di legumi e cereali che compongono la Maracucciata.
La Maracucciata ha poi il pregio di poter essere declinata anche nella versione “su piastra” per ottenere deliziose chips da usare come ingrediente e/o saporita guarnizione per molti piatti, oppure semplicemente come una golosa aggiunta al cestino dei pani nella “versione lunga”.
L’auspicio è che tutto il bel lavoro fatto da Davide Mea della Taverna del mozzo sul Maracuoccio, ma anche quello fatto da altri, aiuti questo piccolo legume ad essere più conosciuto e apprezzato. C’è bisogno di biodiversità, c’è bisogno di sapori non omologati.
Per fortuna che da qualche tempo il Maracuoccio è diventato anche un presidio Slow Food, vedi – https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/maracuoccio-di-lentiscosa/ – un buon segnale.
Partiamo da questo?
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?