Di Fabio Riccio,
Da tempi non sospetti ho un’immensa stima per Antonio Albanese e la sua irresistibile comicità.
In un panorama (a mio avviso) avaro di talenti comici, lui e pochi altri sono quelli che fanno la differenza.
Una comicità mai banale, a prima vista istintiva, in realtà ben studiata.
Forse qualche concessione di troppo al surreale, ma sempre con l’occhio attento a pescare spunti e intuizioni nel quotidiano.
Molti personaggi di Antonio Albanese, ormai parte dell’immaginario collettivo, hanno raccontato e tutt’ora raccontano l’Italia (e… tanti Italiani), meglio di tante dotte analisi sociologiche.
Sul palcoscenico, sul piccolo schermo e anche di fronte la macchina da presa la comicità di Antonio Albanese funziona alla grande.
Ritmi e mimica giusta, ammiccamenti nei limiti, intelligenza e ironia sparse a piene mani. La quintessenza del cabarettismo, ma di luminosa qualità.
Le costruzioni dei momenti comici, meglio, le sinossi di tante sue storie e sketch, colgono sempre nel segno.
Però, Lenticchie alla Julienne a mio avviso è un libro che non decolla.
Nonostante il comico di Olginate abbia messo sul tavolo un’idea forte e condivisibile, cioè mettere (giustamente!) alla berlina questo momento di vera e propria isteria mediatica per tutto quel che è Chef e cucina, la narrazione in più punti risulta ripetitiva negli schemi, e in alcuni passaggi anche noiosa.
Fuori dal sicuro recinto di cinema e televisione, la gran bella comicità di Antonio Albanese non convince.
Certi suoi meccanismi altrove irresistibili, sulla carta, complici forse i ritmi diversi, risultano farraginosi e ripetitivi.
L’eccesso di reiterazioni, la vera e propria overdose di iperboli ed esagerazioni delle vicende di Alain Tonné, di per sé un indovinatissimo e ironico ritratto in sedicesimi di molti surreali tele-chef stellati, risultano quantomeno prevedibili, ed è proprio qui che Lenticchie alla Julienne, mostra la corda, non nascondiamoci dietro la canonica foglia di fico.
Il punto è questo: la comicità su carta, rispetto al cinema e al piccolo schermo, dove i ritmi cabarettistici funzionano bene, ha schemi e costruzioni molto diverse.
Sui ritmi e sulla costruzione della comicità scritta, sarebbe bene ricordare la lezione di due maestri, che pur in epoche e tematiche diverse, ci hanno lasciato in eredità grandi cose.
Parlo di Achille Campanile e Paolo Villaggio, quest’ultimo come scrittore e non come attore…
Quattordici ricette, quattordici elenchi di assurdità (che magari prese da sole strapperebbero grasse risate) alla lunga sono ripetitive, almeno per i meccanismi vorrebbero innescare.
Però, sarebbe anche un errore buttare il bambino insieme con l’acqua calda…
Così, la sconclusionata ricerca ad ogni costo della ipotetica quarta stella da parte di Alain Tonné, che al netto di quanto scritto in precedenza, ha davvero molto di reale e coglie nel segno.
Chi vuole, riesce anche leggerci (tra le righe) qualche grande nome della cucina nazionale.
Anche la ricetta del Gabbiano in crosta con Lenticchie alla Julienne, altro bel momento comico, è il perfetto paradigma per tanti piatti creati più per stupire che per piacere, e in questo caso Albanese centra pienamente il bersaglio.
Si: è proprio la surreale e indovinata figura di Alain Tonné, nel suo intimo un un cialtrone, che se estrapolata dalla overdose di esagerazioni e della ricerca di ingredienti improbabili quella che svetta.
La parodia del contrario di se stesso, in un bel gioco di specchi.
Alain Tonné sogna di cambiare la percezione gastronomica di un intero continente, ma non ne ha la capacità, e così, come altri suoi colleghi “reali”, ricorre alla “voglia di stupire con effetti speciali”, cosa che in Italia funziona sempre.
A questo punto però mi assale un sospetto, agghiacciante.
Non è… che qualche noto chef, magari uno di quelli mediatici, statuari e inamovibili per blasone, telecamera, conto corrente & fatturato a più zeri, sotto sotto è un po’ Alain Tonné?
La stella nell’imbarazzo
– La prima stella: Ma che vorrà da me quell’astronomo?
– La seconda stella: Perché?
– La prima stella: Mi sta fissando da un’ora con il cannocchiale.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?