Di Fabio Riccio,
Per chi, come il sottoscritto ha più di qualche capello grigio, la vera e propria deflagrazione del mondo della pizza e il suo miglioramento qualitativo, non può che fare piacere.
Visti i natali nella ex capitale del regno delle due Sicilie, sono praticamente cresciuto a pizze.
La mia prima memoria di pizza, una semplice margherita, forse neanche mangiata per intero, risale a quando frequentavo (con profitto!) l’asilo, negli anni ‘60 del secolo scorso, in pieno boom economico, un amore a prima vista.
Amore, esploso anche per tutte le variazioni della pizza che trovavo sulla mia strada, o per meglio dire, su quella dei miei genitori.
Così, già a sei anni disquisivo di margherite, marinare, romane e, di quella adorata da mio padre, ai frutti di mare, mentre la cosacca non era ancora tornata “di moda”.
Non solo… già ponevo su piani diversi le pizze “a libretto” senza confonderle con le pizzette dei forni e di pasticceria, o la pizza al taglio, in special modo quella del Bar Angelina a Fuorigrotta.
Nella Napoli del tempo, tutte le pizze a vario titolo considerate “da passeggio”, avevano in comune l’essere vendute nel “bancariello” (tecnicamente, termovetrina mobile), quasi sempre posto fuori il pubblico esercizio, con in bella vista la scritta “servizio caldo”, ma con la spina della corrente sempre tristemente staccata…
Anche la Montanara, relegata quasi esclusivamente in friggitoria, era per me una certezza, così come le pizze fritte e i “ripieni”, che mai e poi mai confondevo con le pizzelle & i panzerotti fatti in casa.
A questo punto, ricordi di pizza a parte, la “memoria bambina”, quella più radicata nei meandri celebrali, bussa alla porta, chiedendomi a gran voce di narrare una piccola storia, anzi, una constatazione.
Le pizze una volta erano più piccole e povere…
A ruota di carro o protocanottiere, nei lontani anni ‘60 il denominatore comune di quasi tutte le pizze era la esigua, se non scarsa quantità di condimento.
Un dato di fatto.
Sulle Margherite, la mozzarella era poca e con cautela distribuita.
Solo chi esibiva un raggiunto “status” optava per la “doppia mozzarella”, logicamente, con aggravio di spesa.
Anche la marinara e la romana, molto più di ora, erano essenziali…
Non parliamo poi delle pizze ai frutti di mare tanto amate da mio padre.
I frutti di mare, erano attentamente contati.
Di solito, quattro cozze (mini), tre vongole (lupini) e qualche esile tentacolo di mollusco, spesso bruciacchiato per imperizia nella cottura.
Bastava questo a far sognare il mare sulla pizza…
Decenni di questo andazzo, poi il mondo della pizza si è messo in moto, e permettetemi il termine, rivoltato copernicanamente come un calzino.
Ora, molte delle pizze “contemporanee” sono caratterizzate dall’opposto, cioè sono sommerse di condimento, anzi, di “topping”, con un abusato anglismo.
Tendenza dominante ormai.
Per carità, in linea di massima le pizze di questo primo scorcio di millennio, per qualità, cura e organolettica generale non sono minimamente paragonabili a quelle della mia infanzia e adolescenza
Non c’è partita.
Però, l’attuale “profusione” di condimento, radicalmente opposta alla “povertà” del passato, per sapori e calorie in troppi casi scompagina l’armonia e la piacevolezza complessiva della pizza, e in certi casi, neanche tanto estremi, la trasforma in un vero e proprio “pasticcio”, rendendo arduo terminarla.
Come “ciliegina sulla torta”, una notazione tecnica.
Il troppo condimento, quasi sempre sovrasta sensorialmente (anche) l’impasto, rendendo difficile comprendere se è ben fatto o meno.
Tornando a pesi & dimensioni, le poche pizzerie che ancora si ostinano a far pizze senza strafare con i condimenti sono bistrattate.
Nella vulgata comune, sono quelle che fanno le “pizze con poco sopra”.
Ora, cari signori pizzaioli, specialmente voi che mi seguite, partendo da questo aspetto, non è forse il caso di ragionarci un po’ su?
Per intanto, vado a mangiarmi una semplice margherita, spero senza quelli che sono diventati gli ormai canonici due etti di fior di latte sopra…
Cui prodest?
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?