Di Fabio Riccio,
Ma si!
A volte mi sembra di vivere sul pianeta Papalla… basta che mi distraggo un attimo e mi inventano cose nuove – e io che me le lascio sfuggire…
Parlo della Latte Art…
Ho scoperto in ritardo di questa nuova (neanche tanto poi…) mania, che da semplice e innocuo giochino estetico-cromatico da bar, è stata trasformata nientedimeno che in una espressione artistica.
Per chi non lo sapesse, la Latte Art è una “tecnica” per decorare il caffè espresso, i cappuccini e altre bevande a base di caffè tramite la manipolazione della crema di latte, realizzando così forme e disegni sulla schiuma di latte.
Parola forse un po’ grossa arte, se riferita a dei ghirigori fatti sulla schiuma di latte, a mano, oppure con appositi stencil…
Arte decisamente effimera la Latte art, visto che un disegno sul latte macchiato (e non), giocoforza dopo un po’ scompare e si dissolve.
Vabbè, direte voi, forse chiamarla arte è esagerato, ma che male ti fa un bel disegnino, magari sulla schiumetta del cappuccino mentre mordi il tuo mattutino bombolone ripieno di soave crema?
No, certo che non mi fa’ male, ma di grazia, qualcuno mi spieghi perché con sprezzo del ridicolo qualcuno ha trasformato un simpatico giochino estetico, nientedimeno che in una espressione artistica?
Ma poi, a cosa diavolo serve la latte art, visto che con gusto & sapori non ha nulla a che fare?
La Latte art (chissà che ne pensano le mucche…) non è arte, è solo pura estetica scissa dal mezzo che dovrebbe esprimerla (il latte schiumeggiante, appunto), come purtroppo è pura estetica il cake design, dove la nobilissima arte della pasticceria, rischia seriamente di essere soppiantata da questa vera e propria mania, dove i dolci quasi sempre non si mangiano, ma si espongono e fotografano solo…
Effimero…
La Latte Art così com’è, verosimilmente imperverserà ancora per un po’, poi entrerà nella lista delle manie passeggere, e poi sarà dimenticata, come è accaduto per le palline clic-clac, il Tamagoci, il brillantino sui denti, l’hula hop e altre manie, anche loro innocue, ma che che con cicli e ricicli hanno segnato l’immaginario di varie generazioni.
Con la Latte Art, siamo di fronte all’ennesima conferma di come il rapporto con il cibo si è ridotto alla pura visualità, in bilico tra le inutili e foto in primo piano di piatti & cibi, e l’obbligatoria spettacolarizzazione televisiva, o da clip web.
Però, in tutta la faccenda c’è anche un altro aspetto da stigmatizzare, e questo aspetto come contribuente mi intristisce, molto.
Spulciando in rete, ho scoperto che ben più di qualche ente di formazione professionale ha aggiunto la Latte art ai programmi dei propri corsi di formazione per barman etc etc…
Ora, non metto in dubbio l’utilità e la liceità di apprendere questa tecnica per realizzare un cappuccino ben decorato.
Magari, la latte art è un modo per creare valore aggiunto al bar che propone questo ai suoi clienti, e non trovo affatto scandaloso che qualche (privato) si inventi dei corsi per far questo, magari infiocchettando il tutto come “arte” (sempre virgolette d’obbligo), giustamente guadagnandoci sopra.
Ma… appurato che la Latte Art non è fondamentale per il prosieguo della stirpe umana, e ancor meno per l’evoluzione del gusto, non trovo per niente etico che altre agenzie ed enti di formazione professionale, intendo quelli che ricevono a vario titolo contributi pubblici, organizzino corsi mirati solo alla Latte Art, usando i soldi dei contribuenti per insegnare come si disegna un cuoricino o uno “smile” sulla schiuma del cappuccino, magari per fotografarlo e poi condividerlo con quelle frasette melliflue che quasi sempre accompagnano questo tipo di foto sui social…
Cui prodest?
Indovinate un po’…
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?