La pizza, intesa come concetto
non è più una sola.
Ormai, è meglio parlare di pizza per modelli, stili e categorie.
Per curiosità, rispolverando le mie attitudini di cronista del gusto o per meglio dire (un tempo…) di topo di emeroteca, mesi addietro ho fatto un tentativo di censire questi “modelli” o categorie che dir si voglia, e… semplicemente googlando un poco, alla cinquantesima categoria mi sono arreso… troppe!
Però, a questo punto per tentare di mettere ordine in quello che è diventato un vero guazzabuglio di categorizzazioni, entra in gioco un qualcosa di più sottile e dai confini sfumati: definire più o meno esattamente cosa può essere (o è meritorio) di essere chiamato pizza, e cosa non lo è. pi
Il concetto di cosa è davvero una pizza, e questo per qualsivoglia modello, si estrinseca solo quando al palato si riesce a creare un magico “unicum sensoriale” tra condimento e parte panosa e questo, lasciatemelo dire, non sempre accade. Punto.
Fatta questa premessa, vado ora a descrivere un modello di pizza decisamente peculiare che con piacere ho ri-assaggiato di recente in pieno centro a Bologna, assolutamente da non omologare ne’ a quella al taglio ne’ alle pizze tonde di ogni specie, nota come la “pizzetta alla pescarese”.
Si tratta di una pizza artigianale di piccole dimensioni cotta su un padellino di ferro in forno elettrico a 380 gradi, in genere per quattro minuti, dall’impasto leggero e dal morso decisamente piacevole e appagante e, con la possibilità di più di trenta tipi di farciture che alla prova di assaggio si sono rivelate di ottima qualità, sia quelle cotte sia quelle aggiunte dopo l’uscita del forno.
Alla prova palato la pizzetta alla pescarese di Trieste Pizza è gradevolmente suadente e scioglievole grazie anche alla bontà e alla ottima esecuzione dell’impasto, con la dovuta eccezione del cornicione che, come per tutte le altre pizze in padellino anche qui è un attimo più rigido rispetto al resto del disco, questo (anche…) per permettere di afferrare senza incertezze gli spicchi di pizza con le mani.
In più, per chi vuole, viste le dimensioni c’è la possibilità di sbizzarrirsi ad assaggiare più pizze, perché per quantità tre pizzette Trieste pizza più o meno equivalgono a una pizza al piatto, fate un po’ due conti…
Da sempre considerata una pizza easy, la pizzetta di Trieste pizza sia per le dimensioni del disco di pasta, sia perché ben si adatta al ruolo di spuntino veloce e poco impegnativo, ma non per questo meno gustoso, e, non ultimo anche per i prezzi “popolari” nel mondo della pizza occupa una casella a sé stante.
Qualche riga più in alto ho scritto ri-assaggiato perché già in tempi non sospetti ho incrociato nel mio percorso questo “tipo” di pizza, gustatandola più volte nella sede storica, quella di Pescara sul lungomare.
Così… nel mio personale mondo dei ricordi la pizzetta alla pescarese è per me indissolubilmente legata al mare, ma anche al pigro suono dello strusciare dei ciabattoni dei bagnanti carichi di sabbia a spasso sul lungomare di Pescara, ma anche agli effluvi dolciastri delle creme abbronzanti, questi ultimi per fortuna al tempo obliterati dai più goduriosi e invitanti sentori che provenivano dai forni di Trieste pizza…
Un ultimo appunto invece lo voglio dedicare al termine pizzetta che qui non è per nulla riduttivo, perché la scelta di definire quel che esce dai forni di Trieste pizza “pizzetta” non è affatto casuale, perché frutto di una precisa e ponderata scelta tra esigenze pratiche e la tradizione di famiglia, che appunto è quella di far cuocere il disco di pasta in “padellini” di 16 centimetri di diametro…
Se siete a Bologna di passaggio oppure ci abitate, o magari anche altrove, fateci un salto!
Pizzetta di Trieste Bologna
Trieste Pizza Bologna
Via Zamboni, 24/F
Tel. 051 0953555
https://www.trieste.pizza/punto-vendita/bologna/
pizzetta alla pescarese
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Tanti anni fa a Termoli, c’era ancora la Standa, proprio accanto alla stazione ferroviaria, un minuscolo locale sfornava proprio delle pizzette cotte nel padellino. Due sole varietà: pomodoro e mozzarella e pomodoro, olive e acciughe.
Con qualcosa come 50 lire (siamo nel 1974 circa) ne compravi una e poi te la mangiavi sul posto oppure su una panchina di Piazza Monumento. Adesso lì vendono kebab.