Di Fabio Riccio
Ieri sono stato a pranzo in un ristorante…
Bella forza direte voi, ci vai così spesso che si perde il conto. E’ vero e lo ammetto: mangio spesso in molti ristoranti perchè questo fa’ parte della mia filosofia gastrodelirante. Ma ieri… ho avuto un pranzo davvero un po’ particolare.
Per motivi di convenienza non vi dico precisamente dove, ma… diciamo che sono stato in un bel ristorante di un ridente paesello dell’appennino, tra la Basilicata e la Toscana.
Il cuoco-patron è uno che conosce molto bene il suo mestiere. Sulla cresta dell’onda ormai da tanti anni con risultati alterni ma non disprezzabili, è anche un presenzialista del piccolo schermo, vista anche la sua indubbia capacità di “bucare il video”.
A parte queste considerazioni, premetto che non ho proprio nulla da eccepire su locale, servizio, cantina e bontà della materia prima, e anche sul conto, davvero corretto.
E allora… cosa diavolo c’è stato che non andava? Un dettaglio fondamentale è mancato: il gusto.
Il gusto in questo pur bel ristorante, ieri era “uccel di bosco”.
In tutte le portate o quasi, a fronte di una materia prima a prova di scettico e senza dubbio “politically correct”, sapori e sensazioni al palato latitavano.
In cucina nessun errore o leggerezza, anzi, ma tutto sapeva di… ben poco, nonostante le inappuntabili presentazioni, e le roboanti spiegazioni in dettaglio del bravo cuoco.
Le paste ben fatte, così come i condimenti, i prodotti dell’orto, i funghi appenninici, i formaggi, le carni, tutti più o meno a chilometro zero, una volta trasformati in portate non sapevano di molto, non scaldavano il cuore.
In tutti piatti, il volume dei sapori era davvero troppo basso, un po’ come nelle musiche di sottofondo da aeroporto (mi perdoni Brian Eno) di cui spesso non si riesce a capire che cosa realmente si stia ascoltando. Sapori con il freno tirato, è la indovinata definizione coniata anni fa’ da un noto critico gastronomico lombardo per questa tipologia di “cucina”.
Insomma, per farla breve, ho avuto la sensazione che in questo pur godibile ristorante, come in tanti altri con cui mi sono trovato a confrontarmi, in cucina abbiano una paura matta dei sapori.
Ma è possibile che… nell’anno di grazia 2014 del terzo millennio dell’era volgare, in così tanti ristoranti i sapori abbiano fatto marcia indietro?
Inizio a intuire che la cosa non è per nulla accidentale. Certi cuochi del terzo millennio sembrano avere il “sacro” timore che… con qualche sapore più articolato, rischiano di creare traumi permanenti alle “delicatissime” papille gustative dei loro sensibili clienti.
Non si spiega altrimenti perché un pomodoro che sa’ di pomodoro, oppure una melanzana che sa di melanzana, sono diventati una rarità in tanti locali.
Però, c’è da dire che fortunatamente non in tutti i ristoranti la musica è questa.
Ieri… la zucca non sapeva molto di zucca, ma solo vagamente di… zucca. Allora, perché se vado a mangiare a Piadena (CR) alla Trattoria dell’Alba, che usa la zucca un po’ ovunque, la zucca ha il netto e piacevole sapore di zucca?
Perché dei funghi pur di bell’aspetto e nobile progenie, non sapevano praticamente di nulla, e invece alla Vecchia Trattoria da Tonino di Campobasso i funghi sanno davvero di… funghi?
E parlando di carne… perchè un pur impeccabile, fantasioso e abbondante piatto di carne concedeva solo vaghi sapori omeopatici, mentre dal grande “cuciniere” Salvatore Tassa delle Colline Ciociare di Acuto (FR) la carne ha sapore davvero di carne?
Inizio a pensare che la carne, e tanti sapori “veri” davvero terrorizzino certi cuochi, avventori e persino certi presunti “esperti” dal palato delicato.
Si, proprio loro: quelli un po’ gastrofighetti di serie B che glorificano e assegnano patenti di “indimenticabilità” a sentori gustativi percepibili solo in laboratorio.
Non pretendo che tutto abbia un sapore netto e riconoscibile come può esserlo quello delle ostriche, del caviale o della semplice colatura di alici, ma sono stufo di vedermi portare piatti che promettono visivamente e nelle spiegazioni dei pur bravi cuochi grandi stimoli sensoriali, e che invece alla prova dei fatti hanno sapori bisbigliati, se non proprio scialbi.
Possibile che nessuno dei tanti critici improvvisati da sito internet amatoriale (e non), si sia accorto che in Italia molti locali hanno messo la sordina ai sapori, limitandosi a fare cose tecnicamente ineccepibili, ma ben poco memorabili per riconoscibilità dei sapori?
Formulo qui una mia ipotesi: certi cuochi, forse per non correre rischi con la crescente tipologia di clientela più abituata al reality gastrotelevisivo che al percepire i sapori, finiscono per imitare e elaborare tutto quel che gli passa in cucina ben oltre il lecito, riuscendo anche nell’ardua impresa di far perdere ogni traccia dei sapori originali, rendendo indistinguibili (o quasi) al palato, anche un pollo da un coniglio.
Gli interrogativi sono e sarebbero tanti, ma le risposte poche.
Il ristorante dove sono stato ieri non è un caso isolato, anzi.
Qualche giorno addietro, anche un ristorante di solo pesce mi ha dato la stessa impressione, con una ricciola che somigliava per gusto (per fortuna non per consistenza) un po’ troppo alla pescatrice…
Per favore signori cuochi (non tutti eh…), ridatemi i sapori!!
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?