Piccola fenomenologia di un’ossessione
Di Fabio Riccio
-Ognuno ha i pensieri e le ossessioni che si merita.
Detto questo, un preambolo.
Questo è un post noioso, ingarbugliato e cervellotico.
Così, se siete di cattivo umore, oppure se semplicemente siete arrivati per caso qui in cerca di svago, o di curiosità, beh… cambiate pagina.
Dicevo… ognuno ha i pensieri e le ossessioni che si merita.
Assioma inconfutabile da quando ho iniziato ad interessarmi in maniera esaustiva al mondo del cibo e del vino.
Rovistando tra i miei pensieri, e nel caso specifico nel “reparto ricordi indelebili”, le sensazioni di cibi o preparazioni culinarie da me assaggiate e degustate incise davvero in profondità nella memoria non sono poi così tante, anzi.
Ho notato che i (miei) richiami alla memoria (a parte qualche eccezione) di cibo tradizionale/casalingo, pur se vivi e ricorrenti nel mio arruffato immaginario, non sono predominanti, al contrario dei pochi e ben scelti piatti, che invece mi perseguitano con il loro bagaglio di stimoli sensoriali.
Pensate voi… una parmigiana da manuale, una carbonara ben eseguita, un risotto fatto come dio comanda, una crostata golosa… pur se gustosi e succulenti, non hanno mai scalfito in maniera significativa le mie sinapsi.
Voglio ed esigo di più, almeno come complessità di sensazioni.
Questi piatti tradizionali/casalinghi, hanno per me una sorta di appeal temporaneo, magari solo per la durata del pasto, appeal si’ presente e necessario, ma non così incisivo per persistere e trasformarsi in un piccolo chiodo fisso.
Il motivo di questi strani parametri della mia memoria? Un mistero, anche per me.
Non che voglia scindere in due metà esatte e non comunicanti l’universo sensoriale tra “alta cucina”, e cucina semplicemente bene eseguita.
Da sostenitore della supremazia del cosiddetto “pensiero debole” mai mi sognerei di far questo.
Ma… se da una parte ho un bagaglio di sensazioni andate dritte dritte alla “pancia”, per meglio dire al senso di appagamento che da’ il cibo inteso come “carburante” per tenersi in vita, dall‘altra ho una diversa riserva di sensazioni, a volte anche di immagini, numericamente inferiore come quantità, ma infinitamente più cerebrale, criptica, meno “domestica” e senz’altro più esperienziale.
Una memoria di “scosse emozionali”, forse è meglio chiamarla così.
Perché faccio queste parzialità?
Perché raccordo un’immagine o una reminiscenza con il mio appetito?
Ma… cibarsi, alla fin fine, serve anche a perpetuare qualcosa?
Con quanti sensi noi in realtà mangiamo?
Mettiamola così: i cibi più “caserecci” mi danno seduzioni reiterabili, vale a dire che se tra i fornelli non si è proprio sciagurati, li si può anche rifare a casa, mentre i cibi figli di un percorso sensoriale meditato e collaudato da altri, percorso spesso molto erudito, (cosa che distingue tanti chef di rango dai bravi professionisti delle pentole), mi danno seduzioni non reiterabili (salvo che non si vada di nuovo al ristorante sperando che lo chef li abbia ancora in carta!)
Il punto è questo… seduzioni non reiterabili, essenze del non avere, ma che proprio per questo marcano indelebilmente la memoria.
Tornando alle riflessioni e ossessioni di partenza, da un annetto ho un qualcosa che davvero mi perseguita come memoria sensoriale…
Il Gambero andata e ritorno.
No, non è un crostaceo escursionista che ha fatto un biglietto pensando di tornare a casa in giornata.
No, parliamo di un piatto (nome riduttivo lo so…) di uno dei più grandi chef italiani, sulla breccia da già da tempi non sospetti e ben poco televisivi, vale a dire Salvatore Tassa delle Colline ciociare di Acuto (Frosinone).
Parlare di questo cuoco, anzi… cuciniere come lui si definisce sarebbe troppo lungo, e così chi non lo conosce, dia un occhio al suo sito http://www.salvatoretassa.it per poi magari riprendere la lettura qui su gastrodelirio…
Ovviamente qui niente foto di questo piatto – siamo su gastrodelirio.
Su gastrodelirio, per trasmettere sensazioni e “raccontare” i piatti proviamo ad usare le parole, non sequele di foto. Stop.
Il Gambero andata e ritorno.
Una specie di bignami del complesso ed affascinante Tassa pensiero.
Immaginate un piatto dove c’è solo un bel gamberone freschissimo, crudo, che trova casa ad Acuto in collina, dove il bravo Tassa lo affumica quanto basta con gli aghi di pino del boschetto vicino, e già qui qualcuno potrebbe saltare sulla sedia. Oddio!!
Ma non è tutto, c’è di più. Poco, ma geniale.
Al nostro gambero di cui prima, si deve delicatamente sorbire il carapace, per poi passare con decisione alla saporita polpa dal gusto “forte” del crudo, ma anche balsamica per il pino, e quindi, con le papille gustative che già girano a mille, nell’altro canto del piatto c’è del gelato di bisque dove bisogna con rapidità “tuffarsi”, ottenendo così l’effetto di una vera e propria burrasca sensoriale in bocca.
Ci si sente il mare, ci si sente il bosco, ci si sente il morbido del gambero che accarezza il palato…
Risultato seducente e travolgente, poco da dire. Un qualcosa che sensorialmente si avvicina di molto a un’opera d’arte, forse lo è.
Un’opera figlia di un pensare complesso, pensare libero da lacci e laccioli stilistici, dove l’artigianalità del bravo cuoco, sfocia nell’arte vera e propria.
Nutrendomi (in questo caso anche l’anima) con il Gambero andata e ritorno ho provato lo stesso tuffo al cuore di quando mi sono trovato faccia a faccia con certe opere d’arte “importanti”.
Salvatore Tassa è troppo fuori dagli schemi, e questo lo porta a spingersi con nonchalance e onestà intellettuale, ben oltre i paletti codificati (e non) della cucina Italiana di questi ultimi anni.
Caro Cuciniere Salvatore Tassa, in primis grazie di esserci.
Grazie anche per questa piccola grande ossessione, che è in realtà una proiezione del tuo pensiero e della tua creatività.
C’è chi ti definisce altezzoso, atipico, fuori di contesto etc etc – semplicemente non dargli retta.
Regalando emozioni, trasponi il tuo pensiero in quello che fai in cucina, stimolando la voglia di riflettere…
Si, lo ammetto: sono ossessionato dal tuo gambero andata e ritorno.
Cosa c’è di male?
Una seduzione che diventerà “reiterabile” il giorno che deciderò di farti visita di nuovo, nel tuo piccolo nido nelle belle Colline ciociare.
Per il momento, grazie, grazie ancora della bella “ossessione” che mi hai donato.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?