Al contrario di quel che tanti credono (suppongono?) le tradizioni non sono affatto moloch inamovibili.
Le tradizioni si evolvono, cambiano, qualcuna scompare magari perché trasformata poco a poco in altro per i continui innesti di modernità, oppure, e questa è una notazione positiva degli ultimi anni, le tradizioni si riattualizzano.
Ecco: nel caso del Grana di pura pecora, la parola riattualizzazióne ci sta proprio tutta.
L’idea è semplice e rivoluzionaria nella sua essenzialità, perché questo saporitissimo formaggio, riattualizzazióne in chiave ovina dei due più noti formaggi a pasta dura italiani, Grana e Parmigiano Reggiano, è nato quasi per combinazione, grazie a una serie di incontri e confronti tra persone e realtà diverse, in questo caso la Sardegna e l’Abruzzo, due regioni italiane distanti storicamente e geograficamente, ma che condividono il vasto entroterra montano e l’allevamento ovino.
Si: le idee e le esperienze devono sempre circolare e confrontarsi, in questo come in ogni altro campo.
Così da questa combinazione di luoghi, persone ed esperienze, dopo vari passaggi e aggiustamenti nasce il Grana di pura pecora prodotto sì in Sardegna, ma affinato e messo in commercio dalla Taberna Imperiale, struttura commerciale abruzzese che da anni si è fatta notare per la sua attività di (ben…) affinare formaggi di pregio nel peculiarissimo ambiente delle grotte di Rocca Calascio, a quasi 1500 metri di altitudine in provincia dell’Aquila.
La tecnica di produzione del Grana di pura pecora è grosso modo affine a quella del Grana Padano, del Parmigiano reggiano e dello Sbrinz Svizzero, differisce però nell’utilizzo del latte che qui, come si deduce dal nome è quello di pecora e non di mucca.
Un gran bel formaggio sicuramente di nicchia, diverso per consistenza, granulosità e sapore rispetto ai suoi cugini del nord e, che ha nel suo spettro sensoriale davvero caleidoscopico la sua arma vincente, e questo senza nulla togliere ai suoi “cugini” più diffusi e blasonati.
La crosta non è spessissima ed è sufficientemente uniforme, e la pasta è contraddistinta da un colore paglierino (più o meno carico) e, come suggerisce il nome stesso del formaggio, è lievemente granulare.
Aperto a mano, tende a seconda delle forme a fratturarsi a scaglie, mentre nella pasta l’occhiatura (la presenza di piccole bolle d’aria dovute a normalissimi fenomeni fermentativi) è trascurabile.
Al palato è deciso ma anche elegante nel sapore, sapido e avvolgente quanto basta e, a seconda della stagionatura (delle forme…) i sentori ovini del latte si stemperano in note di agrumi e di fiori di camomilla che, dopo qualche attimo di masticazione, intrecciano a loro volta altre di frutta secca, virando nel complesso verso richiami di nocciola e brodo di carne, il tutto logicamente una volta in bocca e a temperatura ambiente.
Un formaggio originale e una tradizione, quella dei formaggi a pasta dura riattualizzata.
Certamente da provare, perché è davvero una gran festa per i sensi!
Taberna Imperiale
Via Atri, 3
65010 – Collecorvino (PE)
Tel. 085 8205008
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?