di Fabio Riccio,
Lo confesso: pur se di nascita napoletano, fino a che non ho avuto 15 anni non ho mai assaggiato una genovese, una delle glorie della cucina partenopea e campana.
Nonostante casa di mia nonna paterna fosse nel cuore del quartiere del vasto a Napoli, più precisamente in Via Bologna, in quella casa la Genovese era nei fatti bandita.
Mio padre, la prozia Concetta detta Titina, la zia Margherita e mia madre (non napoletana) detestavano, anzi, per arcane e mai chiarite ragioni, aborrivano l’odore di cipolla in ogni sua forma, cotta o cruda che fosse.
I tre (quattro…), mai e poi mai avrebbero consentito che in loro presenza si preparasse una genovese, ma anche che nessun tipo di pasta venisse, magari per un attimo a contatto con la tanto vituperata preparazione, anche fredda.
Oltre la cipolla, detestavano proprio la genovese.
Vita difficile per la genovese in Via Bologna a Napoli…
Così mia nonna, santa donna, tutte le volte che si cimentava con la genovese (spero la facesse bene…) era nel vero senso della parola costretta nottetempo a rinchiudersi in cucina, per prepararla per il resto della grande famiglia, che invece la apprezzava molto!
Certo, una casa, per di più in un quartiere popolare e tipico di Napoli dove la genovese non era preparata, non la si è mai vista.
Mistero…
E’ così, la mia prima genovese, con tanto di obbligatorie candele di pasta, l’ho assaggiata a quindici anni, addirittura in Molise, ospite a pranzo a casa di un compagno di scuola che già dal cognome (Gargiulo) odorava di Napoli e Campania, molto più del sottoscritto.
Mi è piaciuto da subito… cosa curiosa per un figlio di una famiglia che in buona parte non amava la genovese.
Ora, a parte questo “fatterello” (assolutamente vero) che di certo piacerebbe a Luciano de Crescenzo, prima di proseguire credo che spendere qualche veloce parola su cosa è la genovese, almeno per i lettori non campani, sia d’obbligo.
A Napoli, ma anche in gran parte della Campania quando quando si parla di “Genovese” si intende la pasta condita con la salsa alla Genovese.
Questa salsa è ottenuta dalla cottura lentissima (tre ore, talvolta di più…) di una gran quantità di cipolle affettate sottilmente, e fatte soffriggere in olio o strutto, e carne.
A fine cottura la salsa si presenta come un qualcosa di denso e compatto dal bel color marroncino, liquido (solido?) che andrà a condire la pasta, saltando il tutto in padella.
Capirete quindi che una genovese fatta con i fiocchi, a prescindere dai piccoli dettaglia della ricetta, che variano quasi da famiglia a famiglia, partirà sempre da delle buone cipolle, cipolle che per sconvolgere l’equilibrio gustativo del tutto, dovranno essere giocoforza dolci e poco pungenti.
Mi spiace per i miei bravi lettori calabresi ma quelle di Tropea (magnifiche per tante altre cose) per la genovese non sono proprio quelle giuste.
Io per la genovese, sapevo delle cipolle di Montoro…
Poi, spulciando in rete scopro che è la cipolla di Vatolla, piccolo centro del Cilento in provincia di Salerno, quella che pare che sia la migliore…
Appurerò assaggiando, non appena ne avrò l’occasione…
Tutto questo per dirvi che qualche giorno addietro, nella buca delle lettere ho trovato una busta con un piccolo ed elegante librino, tutto dedicato tutto alla cipolla di Vatolla appunto, e i miei ricordi si sono subito messi in moto!
La Genovese per la Cipolla di Vatolla
Edizioni dell’ippogrifo nella collana Ars Edendi.
Rinascita, uso, storia e narrazioni sulla cipolla di Vatolla, logicamente passando per la genovese, qui declinata nella variante cilentana, con testi dei bravi Gianni Ferramosca e Franco Russo, ma anche con ricette, storie, aneddoti e interventi di cuochi ed esperti del settore.
Un breve e colto excursus su questo ortaggio, ma anche una miniera di informazioni sulla genovese e su come la si prepara, compresa quella ittica.
La genovese, almeno in Cilento fa rima ed è sinonimo della cipolla di Vatolla, umile ma saporito ortaggio, tenue di un rosa delicato all‘esterno, ma con il cuore bianco velato di rosa, e, cosa più importante, con gusto e consistenza tra il delicato e il fragrante.
Quarantotto pagine da leggere in scioltezza, tra storia, poesia, ricordi e particolari interessanti, molto ben narrati dai due autori.
Per precisa scelta nel libro non ci sono illustrazioni o immagini, ci si affida solo alla narrazione e alle descrizioni, cosa questa che noi di gastrodelirio abbiamo gradito moltissimo!
Così, se siete curiosi di sapere in dettaglio come preparare una buona genovese con tutti i crismi, se vi incuriosisce la storia tutta napoletana del suo nome che con la città di Genova pare non abbia molto a che fare, e se volete scoprire tutto, ma proprio tutto sulla cipolla di Vatolla, ortaggio tutt’altro che umile, non vi resta che fare un salto in Cilento, oppure procuratevi questo elegante librino, sicuramente da conservare in ogni piccola biblioteca gastrodelirante che si rispetti, ma anche da leggere con calma per un intelligente momento di relax.
La Genovese per la cipolla di Vatolla
Edizioni dell’Ippogrifo
Via Marcullo, 39/D
84087 – Sarno (SA)
Tel. 081.5177000
www.edizionidellippogrifo.it
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?