Di Fabio Riccio
Partiamo da questa ipotesi…
Al sottoscritto per assimilare e introitare un vino, e le sue molteplici sfaccettature, occorre tempo e calma.
Il vino voglio farlo mio, interamente, voglio colmarmi di sensazioni “di pancia”, magari fallaci, ma tangibili, non raccontate o imposte da altri per convenzioni spesso discutibili.
Pur ammirandoli per lo stoicismo, non amo i “serial taster”, alias i degustatori più o meno professionisti che con il vino intrattengono una sorta di rapporto “occasionale”, vale a dire un fulmineo assaggio dopo una altrettanto svelta annusata al bicchiere, poi il canonico sputo, e via a scrivere al volo numeretti e impressioni come fosse un quiz a risposte multiple… Una sorta di catena di montaggio dell’assaggio…
Questo tipo di “degustazioni” non mi persuadono, sembrano quasi una “sveltina” con il vino, e poi giù di volata con voti e affini, tutto senza cuore.
I travet dell’assaggio…
Non parliamo poi della naturale e indispensabile evoluzione di certi vini – i “serial taster” non la mettono neanche in conto, se non a parole, possibilmente roboanti.
Se in un paio di ore c’è da giudicare decine e decine di vini, e anche di diverse tipologie, non certo rimane il tempo per lasciar fare ad ogni singolo vino tutte le sue piroette evolutive, piroette che possono cambiare anche radicalmente il giudizio su un vino. Non c’è il tempo per tornarci su…
Ah… si, dimenticavo – c’è un problema, anzi, la soluzione al problema: molti vini, le piroette evolutive non le fanno proprio, perchè sono angosciosamente uguali dal momento dell’apertura fino a quando giorni dopo li si ritrova dimenticati in un angolo… senza tappo – sempre identici a se stessi, bottiglia dopo bottiglia, annata dopo annata, fatti con lo stampino.
No, miei cari lettori, qui qualcosa non quadra…
Passatismo?
Puzza al naso?
Invidia per i “superpalati” superallenati a ravvisare qualsivoglia flebile sentore, gusto o difetto sempre con la giusta lucidità anche al novantanovesimo vino assaggiato in un solo pomeriggio?
No, il mio è banale realismo, a ben pensarci sono cose sotto gli occhi di tutti.
Un bravo enologo-cantiniere, Rocco Pasetti da Collecorvino (PE) dell’azienda Contesa, al nono vino assaggiato in cantina in un’ora di visita, mi ha detto stop!
“Altrimenti con il gusto perdi di lucidità” – sagge e vere parole.
Concordo in pieno.
Detto questo, andiamo al cuore di questo post…
Il Fiano di Ciro Picariello – il gusto semplice.
La bottiglia, acquistata tempo prima, stazionava nella famosa “cantinetta dinamica” di casa gastrodelirio.
E così, ieri sera, per accompagnare una pasta alla carbonara preparata in casa dal sottoscritto, decidiamo di “sacrificare” questo vino Irpino.
Sembra la sera giusta.
Nel mentre sono impegnato nel difficile e rischioso momento di aggiungere l’uovo sbattuto con cacio & pepe alla pasta, senza ne’ rischiare di lasciarlo liquidissimo, ne’ di trasformarlo in una semi-frittata, Serena provvede all’apertura della bottiglia.
I tempi collimano, cibo e vino sono pronti nel medesimo attimo. Evviva!
Per abitudine, e per convinzione non amo mai bere a temperature artiche i bianchi di qualsiasi specie.
Le eccezioni sono poche, pochissime.
Non è questo il caso.
Quindi, anche questo Fiano di Ciro Picariello 2013 arriva a tavola sui 15 gradi, la mia temperatura preferita, appena un po’ più fresco della temperatura ambiente.
Beh… appena nei calici, a parte il bel giallo dorato per nulla carico, al naso mi delude un po’… si’, c’è un certo che’ di agrumi, castagne secche, frutta gialla, e un po’ di tabacco alla maniera di quello da fiuto, ma il tutto è come se avesse il volume in messo in sordina…
Serve tempo.
Così, decido di indugiare un po’ e nel frattempo addento la pasta, ma già alla seconda forchettata la curiosità prende il sopravvento sulla logica, che mi direbbe di aspettare, e porto il calice alle labbra.
E… qui da subito tutta un altra musica, fragorosa, bella nella sua linearità.
Mi piace, molto.
In bocca, subito balza in primo piano l’acido e un fruttato salino sorprendente, fruttato che resiste e flette anche i sapori “tosti” della carbonara e in particolare dell’uovo.
Gusti forse semplici, ma che persistono moltissimo, aiutando la struttura di questo vino ad essere più prestante.
E così un po’ alla volta, quasi come un genio della lampada un po’ indolente, spunta fuori un vino corporeo, intenso, che con i suoi (giusti) tempi, inizia a sparare bordate di energia a tutto campo ai sensi.
Passano i minuti, e la carbonara inizia ad abbandonare il piatto, ed ecco che al naso aumenta decisamente anche il “volume” dei sentori.
Il momento che aspettavo, il momento che speravo.
Tabacco e frutta gialla iniziano a gridare alle narici, mentre al palato le note agrumate e la frutta, tessono trame con qualche invitante nota affumicata.
Il vino è giovane, è un 2013, ma da come si presenta ben strutturato, suppongo che qualche altro po’ di riposo prima di arrivare in commercio non potrebbe che giovargli.
La carbonara intanto è finita, e come in tutti i fine pasto arriva finalmente quel momento dove capire, carpire e comprendere a fondo il vino, senza assilli di tempo o di “produttività”, questo con tutta calma – dove, magari chiacchierando di varia umanità, si inizia veramente a centellinare quel che resta della bottiglia.
E’ il momento giusto per impossessarsi di tutte le molteplicità e le evoluzioni di quello che c’è nei calici, avendogli lasciato tutto il tempo per aprirsi e dialogare con chi gli sta di fronte, con le sue sensibilità, e con la sua storia di naso e palato.
E’ così, complice il tempo e la temperatura dei calici ormai identica a quella di casa, che scoppia, anzi deflagra come una bomba la già vista mineralità.
In certi momenti è così marcata che sembra di avere in bocca l’allume di rocca – si’, proprio quella specie di pietra bianca emostatica che una volta adoperavano i barbieri per chiudere i taglietti facendo la barba ai clienti. Mai provato ad annasarla?
Il Fiano di Ciro Picariello 2013 mi affascina, nella sua semplicità.
Poi arriva anche un sentore di alghe sul bagnasciuga, quello quasi fosforoso che si sente quando la risacca le accumula, ancora umide e grasse.
Poi menta, terra secca, e un fondo di pomodoro da insalata.
E infine, a calice quasi vuoto, esce quel tocco di affumicato, di nocciola tostata mista ad un certo amarognolo che da subito mi ha ricorda tanto certi Sancerre, figli legittimi del Sauvignon Blanc.
Poco altro da dire, se non che siamo di fronte ad una ottima e non banale interpretazione del Fiano, quasi da manuale ma senza voli pindarici, ma anche con la capacità di interpretare il vitigno e il relativo terroir impeccabile come pochi.
Sull’azienda non mi dilungo, perché sul web di Ciro Picariello e dei suoi vini c’è materiale a profusione.
Per chi non ha voglia di scartabellare, riassumo solo che in azienda si lavora nel modo più naturale possibile, e pur non avendo certificazione biologica, non si fa’ nessun uso di prodotti chimici.
Solo un po’ di zolfo e rame, concime organico e lieviti rigorosamente indigeni.
In cantina acciaio e il buon “manico” di chi lo fa’. Non è poco.
Mi piace.
Gastrodelirante? Si, senza dubbio.
Ad averne di più di vini così…
Ciro Picariello
Summonte (Av)
Località Acqua della Festa
Tel.0825 702516
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
bell’arrticolo .. ha l’andamento narrativo di un “giallo” del gusto .. terro’ presente questo Fiano x le nostre passeggiate eno-gastronomiche bolognesi R
Grande vino, poco da aggiungere!
A ciro Picariello non si può fare nessun appunto.
Sono signori vini, davvero ad avercene di più di produttori di questa classse!!