Di Fabio Riccio,
Dov’è finito il vino Novello?
Le poche bottiglie in giro, neanche fossero robe proibite, sono celate negli angoli più bui dei supermercati, oppure fanno polvere sugli scaffali delle poche enoteche che ancora le hanno.
I fatti parlano da soli: negli ultimi anni la produzione di vino novello è precipitata, passando dai circa 18 milioni di bottiglie del 2006, ai 2 milioni del 2018.
Un tracollo!
Volatilizzate anche le improbabili e noiosissime feste di vino novello & castagne che dai centri commerciali alle piazze, per più di un ventennio hanno punteggiato l’autunno degli Italiani.
Non le rimpiango.
Spulciando in rete, fiumi di inchiostro blaterano del vero e proprio disamore degli Italiani per il novello, dopo il boom iniziale di un ventennio addietro.
Le cause di questo crollo?
Tralasciando il pianto greco dei produttori “industriali” di vino, che strepitano di improbabili ragioni e varie contingenze, in mia opinione la causa di questo tracollo è una e soltanto una.
La esagerata flessibilità (eufemismo), anzi: le maglie larghissime del disciplinare di produzione di questa tipologia di vini.
Stop.
I vini novelli Italiani, salvo per qualcuno che ancora si ostina a far le cose per bene, in generale peccano di personalità e riconoscibilità. Punto.
Perchè questo?
A metà anni ‘70, quando in Italia si è iniziato a parlare di Vino Novello, come al solito, e per non scontentare nessuno, si sono fatte le cose “all’Italiana”
Così, disciplinari alla mano, in generale i novelli Italiani se confrontati con il più noto Beaoujolais Noveau francese, sensorialmente e qualitativamente rimediano magre figure.
Secondo disciplinare, in Italia, nessuna regione esclusa, si possono fregiare della dicitura in etichetta di “Vino Novello” anche vini con un minimo del 40% uve sottoposte alla macerazione carbonica (prima era peggio, solo il 30%!).
E… come se non bastasse, è ammesso anche l’utilizzo di un numero spropositato di vitigni diversi, inclusi parecchi che con la macerazione carbonica non vanno per nulla d’accordo.
Oltre questo, che già basta a svilire una pratica enologica interessante come la macerazione carbonica, noi Italiani facendo le cose “all’Italiana” siamo stati anche abilissimi ad interpretarle… “all’Italiana”, cioè, al contrario.
Vale a dire che, per il restante 60% di quel che c’è nelle bottiglie con la dicitura “Vino Novello”, in Italia si ha la libertà (a parte i deboli paletti di utilizzare solo IGT et simili) di mettere anche (altro…) vino delle annate precedenti, perfino di vitigni diversi.
In termini pratici, un salvacondotto, per sbarazzarsi dei fondi di magazzino.
I risultati?
Come già detto, a parte i soliti (e pochi) onesti che ostinatamente credono in questa tipologia di vini, producendo ottime bottiglie frutto di macerazione carbonica per il 100% delle uve, gran parte dei novelli sensorialmente finiscono per essere solo sbiadite imitazioni di quel che potenzialmente potrebbero essere.
Come termine di paragone, in Francia il disciplinare chiaro e brevissimo del Beaujolais nouveau, prevede uve di un SOLO vitigno, il Gamay, allevate in una sola zona, il Beaujolais appunto, e l’utilizzo (obbligatorio) della macerazione carbonica per il 100% delle uve.
Fine, altrimenti li chiamano in un altro modo…
Fate voi…
Per non dire poi delle falangi di “presunti intenditori” che senza il timore del ridicolo, confondono il “Vino Nuovo” con il vino novello.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Bravo …ma l’ultima frase l’avrei messa come inizio! Quanti ancora pensano che il Novello sia il vino nuovo.