Di Fabio Riccio
Ho da poco finito di leggere Il Viaggio di un Cuoco di Antony Bourdain, libro non nuovissimo, (è del 2001) ma ben attuale.
Il filo del narrare è il “viaggio” intrapreso dall’ormai famoso (anche mediaticamente) chef francoamericano di New York,autore anche del più noto Kitchen Confidential, che (per realizzare un programma televisivo…) se ne va’ in giro per il mondo in posti più o meno probabili, alla ricerca della chimera sensoriale rappresentata dal pasto perfetto.
Pasto e non “cibo” perfetto, perché Bourdain sin dalle prime pagine mette subito in chiaro di essere attratto dall’insieme dell’esperienza gastronomica, di cui il cibo è solo una delle possibili variabili.
Bourdain non è solo un cuoco “di grido” e personaggio televisivo, è un anche raffinato gourmet, nel vero senso della parola.
Un cuoco per essere considerato tale, nel senso più nobile del termine, per non limitarsi a essere un mero “trasformatore di cibi”, deve necessariamente essere prima di tutto un gourmet, questo è il succo del pensiero di Bourdain.
Concordo.
Insomma, senza scendere in dettaglio, è un libro gastrodelirante a sufficienza, un libro che forse non cambierà la storia della letteratura, ma che consiglio di leggere lo stesso per i tanti spunti alla riflessione sul cibo e sul rapporto che noi abbiamo con esso.
Lasciamo Bourdain (fortunato lui) ai suoi viaggi e a tutto quello che assapora in giro per il mondo, e torniamo al tema titolo di questo post.
Da venti e più anni per motivi… lavorativi, giro per ristoranti di tutti i generi lungo la penisola, elargendo punteggi e giudizi.
In questi anni ho visto e assaggiato di tutto.
Dai rimasugli della “ampollosa” cucina anni ‘80, alle tante, troppe rivisitazioni d’ogni cosa tanto in auge negli anni ‘90 e oltre. Ho assaggiato maldestre scimmiottature della cucina molecolare, ma anche misere imitazioni, decisamente fuori tempo massimo, della “nouvelle Cuisine”.
Però, e per mia fortuna, ho visto e continuo a vedere l’affermarsi dell’interessante “nuova cucina italiana” di questi ultimi anni.
Insomma: di acqua ne ho vista passare sotto i ponti e, con il bagaglio di esperienze acquisite fino a oggi, mi permetto di dire la mia su cuochi, cucine e dintorni. Stop.
Così, senza voler generalizzare e senza voler inutilmente strapazzare la categoria, devo però dire, anche se la cosa può suonare strana, che di “cuochi gourmet” e con un buon palato, purtroppo ne ho incrociati davvero pochini.
Non solo… ho conosciuto anche molti cuochi che non mangiano al ristorante, e di questo se ne fanno vanto!
Cuochi che pur se di “buon mestiere” e, in alcuni casi anche di successo mediatico, che semplicemente non amano mangiare, e che a casa loro (o nel loro tempo libero) mangiano davvero male.
Insomma… cuochi per nulla buongustai. Cuochi che per manifesta incapacità gustativa, e per il loro palato omologato, non sono poi diversi dai tanti entusiasti clienti del famoso ristorante di Gigino il lercio.
Voi mi direte…
Ma è proprio indispensabile che un cuoco sia per forza un buongustaio, o meglio ancora un vero e proprio gourmet come Antony Bourdain?
A mio avviso la risposta è si.
La sottile linea rossa tra un bravo professionista e un cuoco-trasformatore di cibo è proprio qui: un cuoco vero e proprio prima di tutto è lui stesso un gourmet, uno zelota dei sapori, un buon palato sempre e comunque alla ricerca del sapore perfetto. Fine.
Cari cuochi che non mangiate al ristorante, un bravo Chef è colui che cerca di migliorarsi continuamente con il confronto. Questo lo si ottiene (anche) andando a mangiare, magari in incognito… negli altrui ristoranti come un semplice e anonimo cliente, osservando e non copiando!
E… non basta che il cuoco-trasformatore di cibo se ne va a mangiare nel suo giorno libero nella trattoria dell’amico “oste fuori porta”.
Magari il suo “cugino di campagna” prepara anche cose saporite ed è bravo & simpatico, ma limitarsi solo a questo tipo di “confronto”, senza aver mai messo piede sia da cliente, che da “interno” in nessuna di quelle che sono considerate “le grandi tavole”, è grave, gravissimo, specialmente per chi ha ambizioni “stellari” e/o televisive.
E allora?
La risposta è scontata: girate, viaggiate, lasciate per un po’ il vostro locale (magari al vostri bravi aiuti…) e fate quanta più esperienza potete nei sapori e nelle idee delle altrui cucine.
Non fatevi contagiare dal complesso napoleonico di “essere arrivati”, solo per qualche inverosimile recensione su siti amatoriali per critici improvvisati, o per un passaggio televisivo a mezzodì a TeleRoccacannuccia di sopra.
Confrontatevi con chi è più bravo di voi!
Scoprite il piacere di farvi coinvolgere dalla multiforme esperienza sensoriale che deve essere un buon pasto, ma non per copiare, ma per scoprire che dietro una linea di cucina vera, c’è sempre un “pensiero forte”.
Una linea di cucina netta e riconoscibile, fatemelo dire, è cosa molto ma molto diversa dalle sterili comparsate di provincia, e da qualche fugace passaggio sul piccolo schermo (anche) nazionale, che a quanto pare negli ultimi anni non si nega quasi a nessuno…
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Si… almeno a vedere i risultati, certi cuochi (anche di grido) non farebbero male a curiosare nei ristoranti dei loro colleghi più titolati…