Sei uno dei critici gastronomici da sito di recensioni online oppure un vero esperto di cibo & ristoranti?
Cinque domandine facili facili…
Di Fabio Riccio
Non se ne abbiano i lettori abituali di gastrodelirio, ma ormai tutti strillano che di cibo sono “esperti” – Barilotto docet!
Oramai, è cosa comune che nel bel mezzo di tante cene spuntano fuori i soliti critici gastronomici da sito di recensioni online, lesti a concedere patenti (pirandelliane…) di congruità o meno su un famoso e verdognolo sito di recensioni online.
Questi signori, sempre pronti a digitare gastro-corbellerie su i loro touchscreen, se messi alla prova con domande minimamente specifiche sul settore gastro-alimentare, quasi sempre si rifugiano in fragorosi silenzii, o peggio ancora iniziano a sciorinare la solita “fiera delle castronerie” del tipo… perché così è – stop! Me ha detto mio “cugggino” megarmanager internazionale che mangia nei migliori ristoranti del globo (rigorosamente con tre g) o la Zia Carolina che prepara un ragù tanto buono lasciandolo cuocere solo 72 ore, rigorosamente a 53,7 gradi centigradi.
Ora, tralasciando Barilotto, vero nume tutelare dei critici gastronomici da sito di recensione online, vediamo se sapete rispondere correttamente a queste domandine cinque, facili facili…
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Il guanciale è la guancia del maiale oppure la pancia?
A prescindere che il concetto di “pancia” nell’anatomia suina sarebbe da analizzare meglio, le baggianate carnivore più udite & diffuse sono quelle sull’anatomia suina.
Molte parti anatomiche dei poveri porcelli nell’immaginario dello pseudo-recensore di turno finiscono amalgamate in una sorta di “brodo primordiale suino”, neanche fossero coppa di testa che chissà se barilotto ha mai assaggiato…
Risposta: Il guanciale è la parte di maiale che va dal collo alla guancia: il grasso di questo alimento ha gusto, consistenza e sentori ben diversi da lardo e pancetta. Il guanciale viene elaborato aggiungendo alla carne (di solito) sale, pepe, salvia, aglio e rosmarino, ma ogni regione italiana reclama la sua piccola variante.
La stagionatura non è inferiore a tre mesi, il tempo di far formare la tipica crosticina che lo caratterizza
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Mozzarella e fior di latte (anche sulla pizza) sono la stessa cosa?
Silenzio in sala. I Barilotti di turno rimangono basiti.
Farfugliano…
Come sempre il caos regna sovrano quando si parla di cacio in tutte le sue declinazioni, fresco o meno. La “mozzarella” divide peggio del tifo calcistico.
Generalmente tutti la adorano se è più bianca che più bianca non si può. Anatema (o quasi…).
Risposta: Mozzarella e Fior di latte non sono assolutamente la stessa cosa!
La mozzarella vera e propria è un formaggio a pasta filata, e per la sua produzione si usa esclusivamente latte di bufala. Tutto il resto è fuffa. Stop.
La produzione è concentrata in Campania (mozzarella di bufala campana) e si fregia anche della DOP, Denominazione di Origine Protetta, anche se a dispetto del nome Mozzarella di bufala campana, la produzione è estesa anche ad alcune zone della Puglia, del Lazio e di un comune del Molise. (per dettagli vedi a fondo pagina il seguente link – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/pizza-mozzarella-vera/2014/09/ – Se leggete con attenzione, scoprite che invece il fior di latte è prodotto con latte vaccino.
Lo sapevate?
Barilotto no…
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E’ il più buono, il prosciutto di Parma o quello di San Daniele?
Anche qui tutti esperti, o meglio: Guelfi & Ghibellini, Laziali & Romanisti, Vespisti & Lambrettisti (se mai ne sono rimasti ancora).
Al ristorante come al banco del salumaio si parla e si sparla di prosciutto neanche fosse la squadra di calcio del cuore.
Barilotto invece da questa “querelle” se tira fuori, avendo la risposta pronta: lui mangia solo il prosciutto che fa il suo cugino di campagna a Roccanuccia di sotto, con solo sei tonnellate di sale per coscia…
Risposta: Entrambi buonissimi.
Disciplinare di produzione alla mano, si scopre (però…) che gli allevamenti suini che forniscono le due capitali italiane del prosciutto sono sovente i stessi, e allevano maiali delle medesime razze.
In pratica la base di partenza dei due prosciutti è molto simile, diversa è la lavorazione, come i “terroir” di produzione.
Il Prosciutto di Parma viene da cosce di suini nati, allevati e macellati in Italia (legge n. 26 del 13 febbraio 1990) e stagionate solo nella zona tipica di produzione.
I maiali devono avere almeno 10 mesi di vita e un peso minimo di 150 chilogrammi affinché le cosce raggiungano i 10-14 chilogrammi e possano produrre prosciutti stagionati da 8-14 chilogrammi.
La zona di produzione è ben circoscritta nella provincia di Parma, e la stagionatura non deve essere mai inferiore ai 10 mesi per i prosciutti più piccoli (7-9 chilogrammi) e di 12 mesi per i più grandi oltre i 9 chili. Il «Parma» si distingue anche la forma tondeggiante detta anche “a coscia di pollo”.
Il Prosciutto di San Daniele (come il Parma) viene anche lui solo da cosce di suini nati, allevati e macellati in Italia. Si accettano solo cosce fresche di almeno 11 chili e che provengono da animali in media sui 160 chilogrammi di peso e con più di 9 mesi di vita.
Il disciplinare di produzione è molto dettagliato: stabilisce perfino lo spessore del grasso e la percentuale di acido linoleico nella coscia fresca. La stagionatura è minimo 12 mesi.
Il prosciutto di San Daniele viene pressato per dargli una forma schiacciata, quasi come una chitarra (diversamente dal Parma), e mantiene intatto l’osso con tutto il piede (il cosiddetto Zampetto). Altra differenza tra i due prosciutti è nell’ampiezza del territorio di produzione.
Il territorio di produzione del San Daniele (non di provenienza delle cosce) è invece limitato solo all’omonimo comune, per il Parma è interessato tutto il territorio Parmense.
Oltretutto, i “numeri” dei due prosciutti non sono paragonabili.
I salumifici aderenti al consorzi del San Daniele sono ad oggi 31, mentre le aziende aderenti al consorzio del prosciutto di Parma sono 150.
La qualità la si può trovare sia nella nicchia, che nella produzione di grande scala.
Chissà cosa ne pensa Barilotto…
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Il Surimi è pescato (anche) nei nostri mari?
Qui Barilotto esibisce tutta la sua cultura gastronomica, sfoderando un fragoroso “no”, ma aggiungendo anche che benché il Surimi viene dal Giappone (sic!) a lui piace. Non appena lo sente nominare, già gli titilla il velopendulo, ma soprattutto adora quello che gli propina il suo ristoratore preferito, Gigino il lercio.
Risposta: Purtroppo per Barilotto, il Surimi non si pesca affatto, il Surimi in natura non esiste.
Ne’ Carl Nilsson Linnaeus, alias Carl von Linné noto più semplicemente (agli italiani) come Linneo, ne’ altri lo hanno mai classificato (neanche l’Artusi per questo…), semplicemente perché non rientra nel novero degli esseri viventi ma in quello che io chiamo… le “chimere” alimentari.
Il Surimi è ‘na roba certamente di ideazione Giapponese, ma è solo un aggregato di polpa di merluzzo e altri pesci, pulito, tritato e pressato, più vari carboidrati, polifosfati, coloranti, addensanti, glutammato monosodico (E653), zuccheri e un bel po’ di sale.
Il tutto viene confezionato & surgelato in cilindretti arancioni e bianchi, a guisa di (ipotetiche) sfoglie di polpa di pesce arrotolata.
In breve, il Surimi è solo una “papocchia” di parti meno nobili di vari pesci, tenuto insieme da sostanze varie, abbastanza insapore, e con tanta acqua (dal 72 all’80%).
Il Surimi costa poco però.
Il Surimi è addizionato con aromi artificiali vari, compreso quello di granchio (da qui l’erronea dicitura di “polpa di granchio”) ed è confezionato in forme che vorrebbero ricordare ittici & crostacei reali.
Purtroppo, tanti ristoratori ancora lo “appioppano” nei loro misti di mare, o peggio ancora nel risotto.
Ricordo con inquietudine un pranzo in un incantevole (per vista & sala) ristorante, dove la “polpa di granchio” imperversava dall’antipasto alla grigliata, e ricordo ancora l’impeccabile cameriere (davvero, eh…) che elogiava la freschezza (?) della loro ottima polpa di granchio (forse pescata al supermercato?).
Nonostante tutto questo, Barilotto se ne fa spanciate.
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Il capitone è l’anguilla castrata?
Barilotto è convinto di questo. Prima o poi lo vedremo armato di forbici con il suo 12 metri nel mar dei sargassi…
A parte che castrare una povera anguilla è operazione complicata e scivolosa… ma è proprio in questa diffusa castroneria, letta e sentita spesso, che genetica, follia gastronomica e comicità involontaria si intrecciano in maniera allarmante.
Risposta: La denominazione Capitone in Italia è abitualmente usata per gli esemplari femmina di anguilla che raggiungono le dimensioni di un metro, un metro e mezzo di lunghezza e fino a 6 Kg di peso.
I maschi (poverini…), sono sempre più piccini, e non superano i 60 cm di lunghezza e i due etti di peso.
A titolo di curiosità, un tempo si credeva che per la somiglianza con il serpente, emblema del demonio, nutrirsi di capitone fosse un modo per tenere lontano il male, e per esorcizzare questo, a natale non potevano mancare a tavola i capitoni, per propiziare la buona sorte nel nuovo anno. Questa tradizione è tutt’oggi ancora viva in molte regioni italiane, in particolare a Napoli e in Campania.
Continua… (forse).
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Io scrivo su tripadvisor, e lo faccio esclusivamente perché ho scoperto posti fantastici grazie al verde sito. Scrivo senza nessun interesse, lo faccio gratis per amore del cibo. Frequento, sagre, ristoranti, street food e tutto ciò riguarda il cibo, compresa la signora che fa i salumi ancora a casa sua e di nascosto. Sicuramente il verdesito è pieno di fanfaroni, ma se si studiano bene le percentuali dei soddisfatti e degli insoddisfatti si può capire anche quali sono, se sono dei concorrenti oppure degli amici. Detto ciò ho risposto perfettamente alle cinque domande. Non facciamo sempre di tutta l’erba un fascio.
Non sono un critico gastronomico, ci mancherebbe, ma amo mangiare bene e informarmi il più possibile su quello che mi arriva nelpiatto.
Ma onestamente, non mi sogno di dare giudizi di merito, specialmente con chi ha una attività commerciale come un ristorante, il rischio di cagionargli danni è dietro l’angolo.
Però, in effetti in tanti ristoranti è ormai cosa comune vedere gente che fotografa e digita tra un piatto e l’altro…
Se si è più vicini a loro, occhieggiando maliziosamente, molto ma molto spesso si nota la grafica verde di un sito di recensioni web…
E se si è più curiosi, dopo il pasto basta andare sulla pagina di questo sito, cercare il ristorante dove si è stati e così si leggono i pareri… quasi sempre (a mio modesto parere) ben poco rispondenti a quel che hanno mangiato.
Per me è solo autoreferenzialità + protagonismo e basta.
Ok per le 5 domandine abbastanza a trabbocchetto…
Ma onestamente e da semplice appasionato del buon mangiare mi chiedo: è possibile ancora dare retta a Trip Advisor?
Io non mi fido più.
Preferisco il passaparola, pochi e ben selezionati siti internet o le vecchie guide cartacee (se in futuro ci saranno ancora…)
Come se non bastassero i non pochi siti che pubblicizzano di vendere recensioni su Trip, aggiungeteci tutti i commenti (negativi e positivi pure…) che i ristoratori fanno loro e si fanno fare da amici…
vedi qui! http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/26/tripadvisor-dagli-annunci-al-pagamento-ecco-come-e-facile-barare-sulle-recensioni/1099337/
Per favore siamo seri…
Vero, verissimo, parole sante, anche se mi piacerebbe capire chi è Barilotto.
Tre su cinque non le sapevo comunque.
Anche io fino a qualche tempo fa seguivo il sito di recensioni che qui chiamate “verdognolo”, poi ho iniziato a avere qualche dubbio perchè molte cose non corrispondevano a verità, e in più diun caso ho preso delle sole pazzzesche.
Poi la botta finale è arrivata con una ristorante qui in citta’: un posto modesto che in meno diun mese è diventatoil primoin classifica, anche se non ci va molta poca gente per quanto ne so.