Cosa è una pizza?
Domanda solo all’apparenza facile…
Ieri ho mangiato una pizza, “tecnicamente” (e per il gusto di molti…) non una cattiva pizza.
Impasto ben fatto, giusta lievitazione, ottima stesura, alveolatura e cornicione al punto giusto, condimenti (alias… topping) bilanciati sensorialmente e di buona qualità, morso impeccabile senza gommosità sospette ne’ crocchiosità fuori luogo, cottura senza sbavature, forno a legna ben gestito.
Difficile trovare un difetto.
Ma un difetto, fondamentale c’era.
L’impasto, pur se perfetto, non sapeva assolutamente di nulla.
Di conseguenza, non prendeva parte alla edificazione complessiva del gusto, limitandosi a fare da sostegno a quel che c’era sopra.
Non il primo, e non l’ultimo caso incontrato di pizza tecnicamente ineccepibile, ma sensorialmente “monca”, incompleta.
A questa pizza mancava di qualcosa di essenziale per estrinsecare il concetto di cosa è davvero una pizza, e vale per qualsiasi “stile” di pizza, cioè il matrimonio gustativo (anche olfattivo e di consistenze…) tra l’impasto e quel che vi è era sopra.
Sarà forse l’esasperata ricerca della chimerica farina perfetta, del metodo di lievitazione (maturazione…) più performante e salubre (?) o del fantomatico “impasto ideale” per digeribilità, ma quest’ultimo, come detto tecnicamente impeccabile, nel suo sapere di nulla ha continuato ad ignorare fino all’ultimo boccone i pur ottimi condimenti che portava sul (suo) groppone.
E’ stato come mangiare due cose diverse nello stesso momento.
Da una parte il “topping”, ottimo, dall’altra del pur tecnicamente perfetto pane assolutamente però, mancante di qualsivoglia sapore.
Pizze con impasti ben più modesti (anzi, spesso imperfetti) e dai toppings al limite del “potabile” fatti magari di robe da discount, paradossalmente mi hanno trasmesso infinitamente più sensazioni di quella di ieri sera.
Perché, queste pizze, pur nella loro umiltà, o meglio dire, mediocrità, soddisfavano e postulavano in pratica il concetto di cosa è davvero una pizza, cioè, e perdonatemi il manzoniano latinorum, la creazione di un magico “unicum sensoriale” tra condimento e parte “panosa”.
Questo è il punto.
Tutto il resto è fuffa a buon mercato, se no, autosuggestione.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?