Di Fabio Riccio
Chilometro zero
Quanto costa consumare cibi che arrivano sulle nostre tavole anche da migliaia di chilometri di distanza?
Certamente ben più di quel che pensiamo.
Nel prezzo dei prodotti che noi acquistiamo e consumiamo, non sono mai inclusi i costi delle ricadute ambientali, tra cui il dispendio energetico, le emissioni di Co2 e altri inquinanti che mandiamo a spasso per il mondo.
Detto questo, perfino dell’idea del chilometro zero, principio condivisibile e auspicabile, in Italia siamo riusciti a farne una “barzelletta”, trasformandola in uno specchietto per le allodole, utilizzato anche da un certo tipo di “marketing ruspante”.
Per personale esperienza, tolti i luminosi casi di aziende che davvero fanno di questo concetto il loro fil rouge, e che trovo davvero encomiabili, in certi ristoranti e affini il chilometro zero è diventato solo uno slogan per darsi un tocco di vernice politically correct, senza però accorgersi di cadere nel ridicolo.
Si, anche il chilometro zero, letteralmente svuotato del suo significato, è nella lista dei tanti tormentoni gastronomici di moda. Stop.
Il problema è prima di tutto lessicale, o meglio, della mistificazione del reale significato della parola.
Il concetto di chilometro zero non è da prendere alla lettera.
Non si può pretendere che la totalità di quel che si consuma a casa o nei ristoranti debba per forza venire dal raggio di un km o poco più dal piatto, è impossibile.
Il chilometro zero, dovrebbe essere una linea di tendenza a cui ambire, nel senso che i consumi andrebbero orientati verso prodotti che fanno meno strada possibile.
Chilometro zero significa filiera corta o cortissima, e la riduzione degli intermediari coinvolti nel trasporto e distribuzione dei prodotti
Alla fin fine, il chilometro zero è come la felicità: un obiettivo assoluto impossibile da raggiungere, ma al quale bisognerebbe provare il più possibile ad avvicinarsi…
Giro molto per ristoranti e affini, e per esperienza diretta troppe volte incontro ristoratori furbetti, o peggio in malafede.
Più spesso totalmente ignoranti del significato della parola.
Questa è gente che ha trasformato il chilometro zero in uno slogan da vendere senza riscontro alcuno, anzi: sfiorando e superando il ridicolo.
Sono forse un complottista?
Non direi – solo osservatore distaccato, quanto basta…
Qui in calce, vi elenco tre piccole “perle” di mistificazione del concetto di chilometro zero, osservate di recente nella più piccola regione a statuto ordinario d’Italia, alias il Molise dove vivo & dimoro.
Primo ristorante –
Menù che sbandiera solo cucina regionale a chilometro zero, a leggerlo di primo acchito, così sembra.
Spulciando tra le righe però…
Lo Speck, tanto locale non mi pare, anzi di chilometri ne avrà fatti ben più del fatidico “zero”
Il Prosciutto nostrano – è uno di quelli “industriali”, modestissimo, da supermercato – di sicuro viene da lontano, molto.
Mozzarella di bufala – oddio… un singolo comune del Molise (Venafro) rientra nella zona della DOP, ma è lontanuccio dal ristorante. Vabbè che il chilometro zero non va preso in senso letterale, ma cento e più chilometri mi sembrano troppi per essere ancora nel “concetto”.
Pecorino sardo. Qui è meglio sorvolare, altro che chilometro zero, qui si va sulle miglia nautiche!
Secondo “un quasi” ristorante
Il Molise è davvero piccino, e il concetto di chilometro zero con i dovuti margini, in un contesto così piccolo, si dovrebbe poter bene esplicitare.
Invece… tralasciando la qualità di alcune cose assaggiate, e qualche scivolone sugli insaccati, a un certo punto si oltrepassa lessicalmente & geograficamente il ridicolo!
Nell’assaggio delle “bellezze di mare locale” (per chi è ignorante in geografia, ricordo che il Molise ha “ben” 35 Km di costa…) trovo nell’ordine: trancio di pesce spada, trancio di tonno e… salmone.
Ora… che i tonni si stiano spingendo sempre di più in Adriatico è vero, così come certi pesci spada con il GPS guasto, ma che dei salmoni risalgano il fiume Biferno per andarsi a riprodurre nelle acque interne del Molise mi risulta nuovo.
Ma vogliamo scherzare??
Il salmone a chilometro zero in Molise??
Ogni commento è superfluo – auspicabile solo una dose di bastonate sul metacarpo per chi ha scritto nel menù queste castronerie, un insulto all’intelligenza.
Terzo ristorante
Radicchio, ovunque – come ben sanno anche i bambini, in Molise il radicchio cresce spontaneo e rigoglioso ovunque, dall’Adriatico al Matese, compreso il balcone di casa del (presunto…) chef.
Speck: anche qui, chilometro zero allo stato puro.
Bresaola: la Valtellina non è nei dintorni del Molise.
Fontina & Squacquerone… tipici formaggi molisani, non c’è dubbio!
Avocado: senza dubbio a chilometro zero! In Molise le prime piantagioni del simpatico frutto, risalgono al periodo sannita.
Ecco… tre “fulgidi” esempi di quando le parole mistificate nei fatti perdono il loro significato.
Ma… perché questi “improvvisatori dei fornelli”, lessicalmente e praticamente scorretti esistono?
E perché trovano, prima di tutto su un verdognolo sito di recensioni online, tanti e tanti zeloti ignoranti che si sperticano in lodi per il chilometro zero, quando non sanno cosa è realmente?
Mai sentito parlare invece del “chilometro buono”?
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?