Di Fabio Riccio,
Cena improvvisa: un amico ha dell’ottima polpa di riccio “made in Sardinia” ed è ben lieto di condividerla.
Spaghettino sciuè sciuè con polpa di riccio, mica male.
Evviva!
Ore 19,30 – sabato invernale.
In casa (come al solito) manca tutto, inclusi vino & pasta.
Langue il frigo, idem la dispensa.
Il tormentone di casa gastrodelirio.
Poco tempo, quasi chiudono i negozi.
In zona non mancano, ma c’è un problema: se nel supermercato vicino trovare buona pasta (industriale) è facile, diventa invece arduo scovare qualche bottiglia perlomeno “potabile” per non dire gastrodelirante – solo monotoni vini convenzionali – però, questo vuole il mercato, sic!
Così, nella speranza di poter bere almeno dignitosamente, oso fare un salto fino a un negozio “Bio”, forse avrà qualche vino potabile, o perlomeno “non omologato”.
Ore 19,40 – negozio Bio, quasi un piccolo supermercato.
Il Bio “tira”, non c’è dubbio. Salutisti in crescita in città.
Spaghetti, che si riveleranno di ottima qualità, e poi un paio di bottiglie di un vino semplice ma buono, un bianco biodinamico che forse non cambierà la storia dell’enologia, ma che è fatto impeccabilmente secondo disciplinare Demeter®, e con il pregio di costare davvero poco, in rapporto alla buona qualità.
Cerco la cassa, fila lunga.
Davanti a me due donne, età tra i quaranta e i cinquanta, due carrelli stracolmi di ogni ben di dio…
Sbircio curioso.
Pacchi di farina che basterebbero a un panificio, decine di confezioni di gallette di riso, gallette super-ultra-integrali, biscotti dai nomi impronunciabili di cereali brevettati (che triste!), succhi di frutti assortiti, due magnum di shampoo a-non-so-bene-che frutto, e infine anche qualche bottiglia di vino di una pessima cantina, che però si fregia del marchio Bio.
Una bioprovvista da guerra nucleare, non c’è che dire.
La fila scorre indolente, la cassiera ha ritmi blandi, per meglio dire… è imbranata.
Nel mentre la fila (non ) scorre, “spio” la conversazione tra le due donne che mi precedono.
Qui è il bello…
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Sai, da quando faccio il pane in casa con la farina Bio, mi sento come nuova.
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Si, anche io, però io sono dipendete delle gallette di riso bio. Mi fanno impazzire con la marmellata (bio) di fragole, è tutta salute.
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Anche la pasta Bio che hanno qui è favolosa, ne mangio tanta e mica ingrasso! (?)
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Anche la frutta… qui è tutto fantastico…
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Se non ci fosse questo posto rischierei la fame, ormai non sono più capace di mangiare nulla di quello che vendono nei supermercati normali.
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Eh… si, è vero – chissà quanti veleni ci siamo mangiati in tanti anni…
Frasi fatte, scontate, da salotto televisivo.
Salutismo di facciata.
Moda, forse.
Le due vanno avanti così per un bel po’, facendomi una “capa tanto” con un mellifluo panegirico su tutto quello da loro acquistato, che è semplicemente perfetto, buonissimo etc etc, a prescindere.
Così… con flemma, le ultime cose a passare per il lettore del codice a barre (magari è bio anche quello) sono le bottiglie di vino bio.
E qui che arriva la bioperla… di saggezza.
A questo punto, una delle due, (che finalmente identifico – poi vi racconterò chi è) si lancia in una rumorosa filippica contro il povero vino biodinamico (quello che ho comprato io) esaltando il vinaccio bio che ha comprato lei.
Noticina per fare chiarezza: non vinaccio perché ha il marchio Bio, ma semplicemente perché è un pessimo vino in assoluto. Stop
Evidentemente (da cliente assidua) ha familiarità con la cassiera, che inizia a inondare di parole.
Peggio di un comizio.
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Oh… quel vino “bio-di-na-mi-co” (e sillaba bene il termine) che mi hai dato l’altro giorno mi ha fatto male allo stomaco. Mi ha avvelenato. Non lo prendo più!
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Ti ha fatto di male? Eppure lo vendiamo bene e nessuno si lamenta…
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Seeeeeeeeeeeeee: te lo bevi tu, io non voglio vederlo neanche disegnato!
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Madonna mia, ma che ti ha fatto?
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Chèèèèèèèè, a parte che fa schifo a bere, tu vuoi mettere ‘sto biodinamico con il vino Bio di “Aaaaa” che me ne posso bere due bottiglie e non mi fa nulla?
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La farina invece è fantastica, sapessi come lievita meglio delle altre, ma li sono stata anche attenta alle fasi della luna e al piano astrale…
Pollice verso per il vino biodinamico…
Pollice in alto per la farina bio!
Pago e vado via.
Fine della storia?
Due povere citrulle?
Due esaltate?
Chissà…
Senza dubbio due bio-talebane.
E questo ci sta – fatti loro, si ingozzino pure di gallette di riso bio se questo le rende più felici e le aiuta a digerire, magari con un goccio di biovino schifoso…
Ma… bio talebane perché mi è bastato ascoltarle pochi minuti per rendermi conto delle loro motivazioni, in realtà solo di facciata e non frutto di una scelta consapevole e meditata.
Solo luoghi comuni, banali anche.
Solo fede cieca.
Due adepte “acritiche” di un’idea a buon mercato, fedeli (per adesso…) a una moda.
In ogni caso, fedeli e basta.
Una fede, qualunque essa sia, non ammette discussioni, qualsiasi fede è filosoficamente un pensiero forte. Stop.
Ma vivaddio… come altrimenti definireste voi due rompianima che prima piantano una strepitante grana alla cassa, e poi chissà per quale arcano motivo, preferiscono un vinaccio non potabile degno solo di superciuk, riempiendo invece di contumelie un onestissimo vino biodinamico colpevole a detta loro di leso mal di pancia, se non… due bio talebane?
Hanno il canonico anello al naso, poi hanno il cuoio al posto delle papille gustative, e infine… perchè non hanno la minima idea di quello che dicono e comprano. Stop.
Come ho già detto, comprano tutto solo per fede.
Splendido splendente
l’ha scritto anche il giornale io ci credo ciecamente
anestetico d’effetto e avrai una faccia nuova
grazie a un bisturi perfetto
invitante, tagliente
splendido splendente, paraparaparapara.
Splendido splendente
costa poco e finalmente io sorrido eternamente
amo un camice innocente, si avvicina sorridente
e padrone gia’ si sente…
Nulla da eccepire se esiste e cresce la nicchia produttiva del bio, anzi, perché in agricoltura e dintorni c’è, e ci sarà sempre più bisogno di pulizia nel produrre.
Tutto da eccepire invece (come dai discorsi di queste due) se si immagina il mondo del Bio come una sorta di paese dei campanelli dove per magia basta un’etichetta, un marchio, e tutto magicamente diventa buono e salubre.
Illuse!
Per arrivare a questo, c’è ancora tantissima strada da fare.
Specialmente i nuovi disciplinari sul vino biologico (che trovate cliccando questo link) sono in mia opinione (e non solo mia) ancora troppo permissivi e ancora lontani da un reale approccio naturale, ecosostenibile e completamente esente da prodotti nocivi per la salute umana.
Per chi è minimamente informato, disciplinari di produzione alla mano appunto, un prodotto, specialmente un vino, che si fregia solo del marchio e della certificazione Bio non significa affatto che non subisce trattamenti. Stop.
Per favore, qualcuno lo spieghi alle due bio talebane.
Piccola “postilla”.
La farina Bio che tanto piace alle due bio talebane, costa ben 2,70 euro al chilo.
Le produzioni biologiche (se fatte onestamente) hanno rese inferiori di un 30-50% (almeno per le grandi colture) e ancora meno nel biodinamico, rispetto all’agricoltura “convenzionale”, quindi è nella logica delle cose che questi prodotti debbano essere pagati di più.
Va bene.
Ma… 2,70 euro per un chilo di farina, che in etichetta oltre al marchio bio in gran vista e alle rituali indicazioni di legge, ha solo indicato solo il grado di forza della farina (il cosiddetto “W”), in questo caso un modesto W 140, mi sembrano uno sproposito.
Aggiungo anche che avendo un po’ idea di come funzionano le cose con le farine, usando per panificare in casa una W 140, ho seri dubbi che faccia lievitare meglio di altre.
Una farina con questa “forza”, sarà forse buona forse per far biscotti, oroscopi e fasi astrali a parte.
Cui prodest?
P.S. – una delle due bio talebane, alla fine l’ho riconosciuta.
L’ho incrociata più volte nella mia vita, sempre in vesti diverse.
In gioventù ex manipolatrice di ossa & muscoli, ex estetista ed ex cultrice di religioni orientali (in genere…).
Un po’ cresciuta, l’ho ritrovata come ex insegnante di ginnastica mentale(?) , ex esperta di cristalloterapia, ex insegnante di Zen stretching, e infine ex pranoterapeuta…
Tutte scienze “esatte” e scientificamente provate, specialmente la pranoterapia (sic).
Ora, suppongo che la tizia sia diventata una “BioEsperta” in generale, bio talebana nei fatti…
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Una moda?
Si, certo.
Però anche il campanello che in Italia c’è voglia di pulito.
Purtroppo quasi tuttii disciplinari che regolano il mondo del Bio in Italia, sono letteralmente “addomesticati” per non scontentare nessuno.
Il Bio al 100% praticamente non esiste in nessun posto del mondo, salvo qualche isoletta sperduta nell’oceano.
Ma concordo con quanto scritto nell’articolo, in Italia il Bio è solo una facciata, a parte qualche bravo e coraggioso produttore che fa del suo meglio fregandose di marchi e etichette verdoline…
Purtroppo il problema è serio. I disciplinari Bio in Italia e nell’Unione europea sono troppo di manica larga, a leggere bene alcuni sono francamente imbarazzanti, perché qualsiasi schifezza é permessa o quasi…
Se non si cambia registro, e non accontentandosi di belle favolette come adorano le due BioTalebane, ci rimane solo il rapporto diretto con chi produce “green” fregandosene di marchi e certificazioni, e vi assicurò che questi produttori esistono, per fortuna!
Aiutiamoli!
Wow, che curriculum. 🙂
Mi incuriosirebbe non poco sapere perché così tanti “ex”…
Un classico caso di “anima in pena”, che si attacca a ogni novità di moda…
Razionalità zero.
(y) 😉