Partenza un po’ così…
Appena aperto il nostro Au Bon Secours, al naso è lampante quella sensazione che i francesi chiamano “souris” (topo vivo o deceduto?) e che a me invece cita il godurioso fiutare una buccia di salame con muffe associate alla speziatura, magari con coriandolo.
Allettante se c’è un bel salame in in tavola, sgradevole se c’è in un vino.
Tappo birichino?
Chissà, forse…
Però, neppure il tempo di far girare il primo calice tra i nasi presenti in tavola, e il Au Bon Secours si desta e stiracchiandosi si rimette insieme come fa un essere umano che si alza di primo mattino.
Apre gli occhi ed è finalmente se stesso
Il temibilissimo souris svanisce nel (metaforico) corridoio dei passi perduti e lascia spazio al vino, quello vero.
Che vino ragazzi, che eleganza!
Grandi e netti archetti e rosso ciliegioso scarico in calice, cose abbastanza comuni quando si ha a che fare con il Gamay, qui in assoluta purezza.
Al naso è un bel gran succo di frutta rossa con more, lamponi succosi, fragola etc etc a scandire il ritmo.
Palato lieve ma fremente, nonostante i tannini sommessi e, curiosamente (e ossimoricamente) si rivela anche rustico visti i cenni di terrosità che si rivelano in nel finale, abbastanza lungo e godibilissimo.
Sébastien Dervieux, nella sua Loira detto anche Babass, un passato di musicista rock, è un produttore molto noto nel mondo del “naturale” anche perché non fa mistero del suo approccio all’enologia rigidamente non invasivo e scevro da ogni “enoporcata”
Le uve di solo Gamay che diventeranno Au Bon Secours fanno dodici giorni di macerazione a grappolo intero, e fermentano in tini scavati nel terreno, logicamente e inflessibilmente, solo con i loro lieviti, e tutto il resto a seguire prima di entrare in bottiglia è fatto solo con il minimo di interventi, un vino naturale tout court, insomma.
Almeno per questa annata, la 2019, nessun solfito aggiunto.
A Bottiglia finita (rapidamente), il souris è solo un ricordo, mentre il resto in un contesto di grandissimo equilibrio sensoriale, è pura ed elegante felicità.
P.S. – vista la comprensibile allergia di tanti produttori naturali per le denominazioni, che spesso finiscono per etichettare con una sigla il nulla (o quasi…) il Au Bon Secours è solo un Vin de France.
Punto.
A buon intenditor…
Les Vignes de Babasse
Sébastien Dervieux
12 rue Rabelais
49750 Beaulieu sur Layon
Tel. + 33 68 2003267
http://griottes.over-blog.com/
Au Bon Secours
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Per fare un esempio pratico, nel 1982, quando ero in lira – il che non accadeva troppo spesso, compravo un vino bianco che mi era stato presentato come il miglior vino bianco italiano.
Era qualcosa di fenomenale.
Ma quanto costava alla bottiglia?
E’ inutile che vi dica il prezzo di allora. Vi dico cosa costerebbe oggi usando le tavole di rivalutazione monetaria dell’Istat.
Oggi quel vino costerebbe 12,5 euro.
La triste storia, però, non finisce qui.
Negli anni ’80 cominciavano a comparire le prime guida di ristoranti e cantine.
E anno dopo anno vedevo quel vino scendere le classifiche, fino poi a scomparire.
Allora un giorno lo presi, per vedere che cos’era successo.
La bottiglia e l’etichetta (entrambi fantastici) erano sempre quelli.
Tranne il contenuto, che non ricordava nulla del vino di allora; una robetta scipita da supermercato per cui avrei pagato 5, 6 euro, ma così, di incoraggiamento.
Ora, io non pretendo di trovare i vini naturali a 12,5-15 euro.
So benissimo che la struttura dell’economia è cambiata.
Che chi fa quel vino non è il contadino di allora, è una persona colta, se non coltissima, che ha tutta una serie di esigenze che costano e che necessariamente deve coprire. (Parlo del necessario, tipo l’educazione dei figli, limitando il superfluo al minimo).
Ok, va benissimo.
Però occorre essere coscienti che oggi la struttura dei costi è quella di una società squilibrata, costruita per drenare le risorse da chi ha di meno a chi ha di più.
E non è che facendo pagare ai ricchi una piccola (per loro) tassa sul vino naturale si riequilibrano le cose.
Ho scoperto l’esistenza dei movimento dei vini naturali da poco e l’altro giorno sono andato in una piccola enoteca che tiene solo questo genere di etichette.
Sono rimasto sconcertato dai prezzi.
Il che, mi ha aiutato nella scelta. Ho preso l’unico vino che avesse un prezzo abbordabile.
Già al momento di pagare, il titolare del negozio ha messo le mani avanti (pur essendo un vino sardo, che non mi aspettassi una grande struttura, un vino di corpo come si diceva allora, e come forse si dice anche adesso, per quello avrei dovuto spendere almeno il triplo; strana rivoluzione quella che rispetta le gerarchie dell’ancien régime…).
Volete sapere cosa costava quella bottiglia?
12,50 euro.
Posso sapere il prezzo?
Ho letto il suo articolo sui prezzi non giustificati di alcuni vini naturali e credo che questo sia un argomento da sviscerare a fondo.
Non sono infatti molto d’accordo con il riferimento alla legge della domanda e dell’offerta.
Oggi sappiamo che non è il mercato a fare l’economia ma è l’inverso. È come l’economia è organizzata a decidere il tipo di mercato.
Per capirci: un tempo, diciamo 40-50 anni fa l’economia cresceva a dei tassi consistenti e il divario fra un amministratore delegato e un operaio era di 5 volte. Oggi il divario è di 20 volte e l’economia ristagna.
Stessa cosa per i prezzi dei vini. Al doppio o al triplo di un vino corrente – cioè un prezzo davvero alla portata di TUTTI – si trovavano dei vini veramente buoni, che oggi sono assolutamente introvabili a quei prezzi. Bisognerebbe andare a cercare nei vini dai 30 euro in su, ma con la moda dei vini finti, anche lì ho qualche dubbio si possa trovare del vino soddisfacente.
Per capirci, un tempo anche il peggior Barbera della peggior osteria sapeva di Barbera, era inconfondibile.
Oggi i vini per il 90% sono tutti uguali e uno dovrebbe accontentarsi di trovare le loro caratteristiche vere in quel restante 10% di aromi percepibili solo agli iniziati. Quando allora un vino si esprimeva all’istante, senza ritrosie o infingimenti…
Se l’economia di oggi fosse come quella di allora, cioè dove TUTTI condividevano i benefici della crescita economica e non solo i più ricchi come accade attualmente, un vino naturale non dovrebbe costare più di 20 euro.
Non voglio criticare i produttori, ma gli alti prezzi dei vini naturali sono una condanna per il settore.
Attireranno un sacco di gente interessata al soldo, ma li condannerà a restare un divertissement per i ricchi.
Come è già successo per i presidi Slow Food o per i supermercati blasé di Farinetti.
La rivoluzione non è un pranzo in un ristorante stellato…