Di Fabio Riccio,
Greco.
Vitigno bianco presente in tutto il centro-sud della penisola. La la regione dove è più diffuso è la Campania, con il rinomato il Greco di Tufo (Avellino).
Come si evince dal nome, il vitigno arriva da oltre lo Ionio, ma dopo secoli sul territorio e il conseguente acclimatamento, è considerato un vitigno nazionale.
Fin qui in formato bignami la storia di questa uva.
Però, e mi spiace dirlo, anche il Greco come molti altri vitigni negli ultimi anni diventati “di moda”, è vittima di una vera e propria opera di “annichilimento”.
Esagerati interventi in cantina in troppi casi lo trasformano in quel che per sua natura non è: una specie di acqua di Colonia in calice (o dopobarba, fate voi…) olezzante oltremisura e dal gusto furbetto, per assecondare i gusti di chi predilige l’eleganza formale a scapito della vera essenza del vitigno.
Dal punto di vista dei vignaioli, invece il greco è sempre stato considerato un vitigno “antipatico”, ruvido, difficile da vinificare.
Come se non bastasse, se il “manico” in cantina non è dei migliori, e se non tenuto d’occhio per bene, il Greco tende a dare vini con un’acidità volatile notevole, oltre ad esser soggetto a fenomeni di ossidazione.
Però… chi è bravo e schiva gli ostacoli, dalle uve del Greco ottiene vini di carattere e spessore, particolari complessità sensoriale, dove proprio gli “spigoli”, almeno per chi in un vino cerca verità, territorio & sensazioni, e non storielle melense da Mulino Bianco, sono la parte più affascinante.
Pescando nel gran calderone dei tanti Greco d’ogni dove, ultimamente, e per mia fortuna, ho bevuto (in pizzeria, immaginate!) finalmente un bel Greco, uno di quelli rispettosi delle caratteristiche del vitigno, ben fatto e non mistificato, di una azienda Pugliese di Castellaneta, in provincia di Taranto, l’Archetipo.
La bottiglia si fregia (meritatamente) dell’etichetta Triple A.
In azienda non fanno mistero di praticare l’agricoltura sinergica, pratica che ha il suo credo principale nel laissez-faire (lasciar fare), e che se sfoltita da alcuni aspetti che sfiorano l’esoterismo, all’atto pratico resta un modo pulito, onesto e rispettoso per interfacciarsi con la terra.
Partiamo da questo…
Archetipo Greco bianco: già dal colore, un giallo dorato carico, lontano dagli eccessi di certi “orange modaioli”, mette subito le mani avanti come a dire: “ragazzi, io sono un vino diverso”!
Lo è.
Se non ibernato in glacette prossime allo zero assoluto, e servito a temperatura decente, l’Archetipo Greco bianco ha una struttura da primo della classe per la sua complessità sensoriale, e per la magnifica apertura dai netti sentori di mela cotogna, mandorla e un po’ di frutti gialli.
In bocca invece, già dal primo sorso parte secco, fresco, armonico, anche e sopratutto, per l’affascinante ed eretico “neo” di una traccia di volatile.
Tra un boccone di pizza e l’altro, l’Archetipo Greco bianco si rivela un perfetto complice per i sentori di acido del pomodoro e dei latticini, (ecco: un vero e proprio vino da Margherita!), regalando nell’accostamento altre belle sensazioni.
Ma… come per tutti i “vini naturali seri”, è l’evoluzione, qui veloce ma non tumultuosa, che svela l’essenza di un vino.
Godibile, anche e specialmente per il lungo finale dove si attorcigliano a naso e palato tracce di fichi, mandorle tostate e fiori di zagare, insieme a un affascinante sussurro di lievito, un tocco di mineralità e all’alcol equilibrato, vere ciliegine sulla torta di questo vino…
Uno di quei vini senza orpelli e sentori non suoi, proprio per questo bello e godibile che neanche è finita la bottiglia, e già c’è il rammarico di non averne un’altra sottomano…
Insomma, l’Archetipo Greco bianco vi assicuro che è un gran bel bere!
Godereccio quanto basta, e permettetemi l’aggettivo, spesso abusato, “sostenibile”.
Nel magmatico universo del “vino naturale” (per fortuna?) non esiste e non può esserci univocità di pensiero.
Al primo posto c’è solo la piacevolezza e il godimento per cuore e anima.
Senza l’assillo della perfezione, c’è del bello e delle emozioni anche nel bere un buon bicchiere.
Partiamo da questo, il resto è solo fuffa da enofighetti…
Personalmente, visti i minimali interventi in cantina e in vigna (solo un po’ di temperatura controllata, nessuna filtrazione, lieviti indigeni e nessuna SO2 aggiunta) l’Archetipo Greco bianco lo iscrivo d’ufficio nella sfumata famiglia dei “vini naturali”.
Virgolette d’obbligo per non incorrere negli strali del legislatore, ma anche di un certo tipo di enologia paludata & troppo istituzionalizzata di certi “dottori del vino”, sempre lesta ad impallinare ogni bottiglia e produttore non conforme ai suoi canoni.
L’Archetipo
C.da Tafuri sp21 km7,
Castellaneta (TA)
Tel. 080 3114243
http://www.larchetipo.it/
info@larchetipo.it
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?