Di Fabio Riccio
La cantinetta dinamica di casa gastrodelirio è oramai nota.
Certo, il concetto di dinamico, in casa è applicato alla lettera, visto il turnover delle bottiglie…
Era da un po’ di tempo che una bottiglia (una in particolare…) era stata messa da parte per una “grande occasione” – occasione che però non arrivava mai…
E’ così che ieri, per affiancare due pizze che pur ben fatte, causa problemi di bussola del moto-pizza-express-a-domicilio arrivate quasi 45 minuti dopo la cottura, decidiamo che… è questa la grande occasione (sic), e stappiamo la tanto attesa bottiglia – per dimenticare le pizze ormai (quasi) immangiabili.
A questo punto faccio una premessa, che nel contempo è anche un monito per i miei malcapitati lettori.
A costo di apparire ripetitivo, snob, spocchioso e con la puzza al naso, se per caso appartenete anche ad una sola (o più) delle categorie qui elencate, vi prego di non proseguire la lettura di questo post.
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Sommelier spocchiosi con paraocchi tipo il famoso sommelier “AccA” – così chiamato perchè non capisce appunto un… AccA.
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Commessi di enoteca per americani farlocchi che, quando gli si chiede se hanno qualche bottiglia di vino naturale, subito ti rispondono preoccupati «Quali? Quei vini che puzzano? – no, sia mai, non li abbiamo!»
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Enologi superstar alla perenne ricerca della perfezione. (Diradare, diradare, diradare!!!)
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Fautori della assoluta necessità dei lieviti selezionati (se no… a sentir loro mica si mette in moto la fermentazione…)
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Enofighetti di qualsiasi colore politico
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Assertori della intrinseca bontà di un vino solo se il nome in etichetta termina con il suffisso “ONE”.
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Compagni co’ i piccioli (come dicono in Trinacria)
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Esperti di provincia e/o periferia, che ripetono sempre e comunque le stesse identiche tiritere, a prescindere dal vino degustato.
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Sommeliers astemi.
Esaurito questo (necessario?) preambolo vado a raccontare di questo vino, perché provarlo è stato per i sensi un‘esperienza davvero devastante (concedetemi il parolone…).
Ma proprio questo tipo di esperienza sensoriale, per essere compresa e introitata a pieno, esige una certa “familiarità” e conoscenza di questa tipologia di vini. Conoscenza che deve essere sempre e comunque istintiva – la tecnica, viene sempre dopo.
Utilizzando SOLO i “freddi” parametri tecnici, che un certo tipo di “esperti” usa come unico metro di valutazione, con i vini “naturali” (virgolette d’obbligo) si è completamente fuori strada.
Ansonaco isola del Giglio 2010 azienda altura – prima di tutto un vino – semplicemente un vino, un gran vino. Partiamo da questo.
Se poi volete sapere di più su come è fatto, e su tutto quello che c’è dietro questo tipo di viticoltura “eroica” e l’azienda, cliccate su questi link.
http://www.vignetoaltura.it/vino-e-vita-allisola-del-giglio.html http://www.vignetoaltura.it/prodotti/ansonaco-carfagna.html
Prima di tutto parliamo di un vino frutto di un vitigno autoctono per davvero, da non confondere con gli altri “ansonica” in zona terraferma e arcipelago toscano, o con il suo “cugino” più meridionale: l’Inzolia.
C’è anche da dire che questo Ansonaco, è un vino non adatto a chi ha fretta.
Aprirlo, degustarlo e capirlo, è un percorso prima di tutto mentale che, in non più di un ora, ci fa’ ammirare la trasformazione del neonato (la bottiglia appena stappata) in un adulto fatto e maturo (la bottiglia alla fine) – tutta una vita di cambiamenti in un ora.
Appena aperto, forse un po’ per colpa nostra che lo abbiamo raffreddato qualche minuto di troppo, la prima cosa che notiamo è un sentore di volatile accentuato. Niente paura! Come ho già scritto in altri post, non è affatto un difetto, anzi.
Tanti vini “naturali” appena aperti esibiscono queste note.
Un po’ di “acidità volatile” – alias acido acetico – è spesso indice dell’uso di lieviti autoctoni, cioè quelli che mamma natura sparge munificamente sulle bucce dell’uva, e non quelli selezionati (in bustina e non…) che tanto amano tanti, troppi enologi nostrani emuli del conte Cagliostro.
Ma… un po’ di volatile appena aperta la bottiglia è anche un indicatore dell’uso minimo, o nullo della cosiddetta solforosa – la solforosa (SO2) in quantità notevoli inibisce l’acidità volatile – vi dice niente questo? – Punto.
Quindi… semplicemente aspettiamo, consci di avere nel bicchiere un bambino che sta solo crescendo e scalciando per farsi conoscere.
La pizza va’ giù solo per onore di patria, solo per mero calcolo del fabbisogno calorico quotidiano.
Passa il canonico quarto d’ora e inizia la festa. La volatile… si volatilizza (battuta orrenda – lo so…) e come d’incanto nei calici viene fuori tutto il mediterraneo, il gran sole della bella isola Toscana, il suo vento, i suoi fiori.
L’Ansonaco è vino che narra di come si può trasporre un territorio, ma in questo caso è meglio usare l’accezione (più ampia e articolata) francese di “terroir” in una bottiglia – basta chiudere gli occhi, e farsi trasportare nel frutto di questo piccolo ma grande prodigio della caparbietà dell’uomo.
Il colore oro carico lascerebbe intuire macerazioni lunghe, quasi alla maniera di Giulio Armani, invece siamo su un altro pianeta, leggendo quanto dichiara il produttore, che è (quasi) esattamente il contrario.
I tannini comunque si colgono, ma lievi ed eleganti… e nonostante la totale assenza di filtrature invasive, il vino è sorprendentemente limpido.
Colori e macerazioni a parte, in questo vinoc’è prima di tutto un concentrato di tutti i profumi dell‘isola e del πέλαγος (pelagos) mediterraneo – arancia rossa e arancia amara, mare, elicriso, rosmarino e pepe bianco, ma anche un chiaro sentore di marruca che apre e stuzzica il cuore.
Al palato, pur ammiccante e beverino fin da subito, si percepisce un elegante fondo di amaro, proprio come quello del miele di acacia, che poi si spegne gradatamente in una festa di corbezzolo, ginestra e timo, insieme a una mineralità di rara eleganza e giusta armonia.
L’ansonaco, sotto altri aspetti e per i palati meno “avvezzi” può sembrare nervoso e come già detto prima, “scalciante”. Forse un po’ lo è.
Ma me lo immagino anche ottimo da centellinare – magari fantasticando di essere sotto un albero in qualche bello scorcio dell’isola del Giglio, trasformato senza drammi in un bel vino da meditazione.
Un vino che racconta della sua terra, della sua isola, ma anche di chi lo fa’ andando dritto al cuore, saltando a piè pari il tanto inutile e scontato “latinorum” di certi eno-iniziatici altezzosi.
L’Ansonaco isola del Giglio 2010 azienda altura non costa poco, ma credetemi: sono soldi spesi bene, non fosse solo per gioire e lasciarsi coinvolgere da quella meravigliosa e fuggevole piacevolezza che solo un vino “vero”, un vino fatto prima di tutto per piacere e farsi amare da chi lo produce, può regalare a chi lo beve e lo approccia nel modo giusto, cioè… semplicemente con il cuore.
Dietro questo vino c’è un sogno – si vede, si sente…
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Assaggiato e degustato un mesetto fa dopo averne comprate un po di bottiglie questa estate al Giglio. É davvero un vino che si porta dietro un sogno. Peccato che non siamo riusciti a visitare l’azienda… Ma se il prossimo anno scendiamo in Toscana di nuovo, visito l’azienda e ne faccio provvista!