Di Fabio Riccio,
Forse pochi lo sanno, ma un bicchierino di amaro a fine pasto, per facilitare, o quantomeno aiutare la digestione è una abitudine tutta Italiana, basata però su false credenze.
Fuori dei patri confini, gli amari fatto salvo particolarissime occasioni “rituali”, si bevono semplicemente perché piacciono, e quando se ne ha voglia. Nessuno si è mai sognato di assegnargli particolari funzioni, aiuto digestivo incluso
Si bevono come tutti liquori. Stop.
Vabbè, come al solito noi italiani ce la tiriamo con tutto, amari compresi.
In parte è vero, ma a parziale giustifica c’è anche da dire che in Italia abbiamo anche una grande tradizione di frati & fraticelli (anche suore & suorine) che nei loro conventi tra una preghiera e l’altra, e da tempi non sospetti, producono amari, liquori & liquorini, distillando e selezionando infusi di erbe varie, con ricette ovviamente e rigorosamente segrete.
Ma non solo questo… è bene anche sapere che a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, in particolar modo in Piemonte, una composita pattuglia di farmacisti, precursori e attuatori del concetto di sinergia commerciale, d’emblée si si inventarono produttori di liquori, amari ed elisir di ogni specie, logicamente per poi venderli nelle loro farmacie come coadiuvanti per ogni tipo di malanno.
Valga per tutti l’esempio del farmacista Giuseppe Cappellano di Serralunga d’Alba, che alla fine del 1800 come rimedio per i malanni da raffreddamento inventò nientedimeno che il famoso Barolo Chinato, che per fortuna, (a me piace molto) esiste e prospera ancora nel ventunesimo secolo semplicemente perchè è molto buono!
Cose del genere, più o meno negli stessi anni accadevano anche oltreoceano.
Negli Stati uniti ad esempio, un certo John Stith Pemberton, anche lui un farmacista (guarda caso…), l’otto maggio 1886 ad Atlanta inventò quella che poi sarebbe diventata la più diffusa bevanda gassata al mondo, originariamente venduta come rimedio per il mal di testa e la stanchezza.
Ma questa, è una storia diversa…
Così divagando, ma sempre rimanendo nel reparto amari, voglio segnalare ai miei lettori una bella scoperta che ho fatto di recente.
Si chiama Amaro San Simone.
Viene anche lui dal Piemonte, ma questa volta i farmacisti sono innocenti, perchè a quanto sembra l’ Amaro San Simone è opera di una confraternita di frati, studiosi di scienze naturali e di astronomia, ma anche esperti erboristi e infusori, già attivi nella Torino nel XVI secolo.
I bravi frati, sempre tra un’orazione e un’altra, pare occupassero il loro tempo a studiare le proprietà medicamentose delle piante, dei loro frutti e delle loro radici.
E così, prova e riprova, alla fine trovarono la ricetta giusta ed ecco pronto l’ Amaro San Simone, a base di china, che ha questo nome perchè prodotto nella loro officina farmaceutica, dedicata a San Simone appunto.
Anche l’ Amaro San Simone all’inizio della sua avventura, pare venisse ritenuto un buon rimedio per gli stati febbrili, e addirittura ottimo per curare la malaria… chissà.
Ora, nel ventunesimo secolo, l’ Amaro San Simone, sfrondato dalla sua aura di panacea e non venduto più in farmacia, lo si beve semplicemente perché è buono e piace.
Quando ho avuto modo di gustarlo, puro e senza ghiaccio, questo dopo un ottimo semifreddo al gianduia, l’ Amaro san Simone mi è parso gradevolissimo, con un gusto amabilmente a cavallo tra il dolce e l’amaro, e con un coacervo di profumi equilibrati, dove tra le 34 diverse e indovinate erbe che lo aromatizzano, è l’inconfondibile china soavemente a far da padrona all’olfatto.
In quanto all’alcol, l’ Amaro San Simone non esagera, siamo sui 26°, quanto basta per titillare piacevolmente il velopendulo, ma senza strafare o dare “botte alcoliche” come fanno altri amari.
Insomma… un amaro non troppo amaro, gradevole e molto ben fatto, persistente al palato che anche nel suo gusto e nella sua moderata gradazione alcolica riflette una attitudine tutta Piemontese (e torinese) al “basso profilo”, al non strafare, ma senza per questo rinunciare a regalare sapori e sensazioni belle…
Un goccio di un amaro come il San Simone, magari dopo pasto, come già detto non per digerire ma semplicemente per il gusto di alzarsi da tavola con la bocca buona, vi assicuro che è uno di quei piccoli e scintillanti piaceri che, a chi è capace apprezzarli, riempiono di bello la vita…
Una ulteriore curiosità sull’ amaro San Simone, è quella che vede la sua diffusione quasi esclusivamente nella città di Torino e in Piemonte, o in luoghi, come le due riviere liguri, dove anche fuori stagione la presenza di Piemontesi è tangibile.
Personalmente, e incredibilmente l’ amaro San Simone invece invece l’ho provato in Basilicata, e più precisamente a Filiano, in provincia di Potenza, dove nell’ormai famoso pizzeria-pub Fandango del bravo Salvatore Gatta, del quale noi di gastrodelirio ci siamo già occupati – vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/salvatore-gatta/2017/01/ alla fine di una bella serata a base di grandi pizze, e dopo il dolce, la brava Mariangela Pirrone, consorte di Salvatore che viste le sue ascendenze torinesi, ha deciso di servirci proprio questo amaro, con il quale è stato subito amore a prima vista!
Amaro San Simone Srl
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10148 – Torino
Tel. 011.2264572
Fax. 011.2265074
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Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?