Di Fabio Riccio,
Metà marzo.
Cielo limpido e aria quasi calda, a dispetto della neve tutt’intorno.
Il primo benvenuto a Valtorta lo da il camion-negozio-semovente di abbigliamento e affini che qualcuno chiama “il Trömbù”, con i ritmi gitani dei Gipsy King sparati dal megafono del camion che assalgono fragorosamente la quiete della valle.
Valtorta è quasi a mille metri di altezza in Val Stabina, piccola valle “laterale” della più nota Val Brembana nel cuore delle Alpi Orobiche, ad una cinquantina di chilometri dal capoluogo Bergamo.
Nonostante il nome evochi curve e contorcimenti, in realtà approdare a Valtorta non è poi arduo – le strade che si inerpicano fin questo remoto angolo di Lombardia, pur se strette sono agevoli e ben tenute.
Valtorta è un paese “bonsai”, ad occhio e croce siamo sulle trecento anime, oltretutto sparpagliate in diverse contrade. Il luogo è piacevole e ameno, e permettetemi l’affermazione scontata degna del compianto Massimo Catalano… quissù in montagna, l’aria è davvero fine!
Un tempo le maggiori attività produttive in zona erano le miniere di metalli e la loro lavorazione. Nei secoli passati, Valtorta era famosa per i chiodi e l’industria boschiva – tra l’altro in paese si può anche visitare un mulino ad acqua ancora efficiente, e l’antica segheria ad acqua del 17° secolo, restaurata filologicamente e anche questa alla bisogna funzionante.
Però, nel 21° secolo le sole attività del paese rimaste attive e che producono reddito sono solo il turismo, l’allevamento, e i laboratori caseari.
Ebbene si, se noi di gastrodelirio ci siamo spinti fin quassù, un gustoso motivo ci deve pur essere, e questo motivo è un formaggio, e… che formaggio!
In paese, oltre i più famosi stracchino “all’antica” e al Formai de mut, è di casa una piccola, e deliziosa “chicca casearia”, chiamata Agrì di Valtorta, chicca che “incidentalmente” molto piace al sottoscritto.
Un formaggio dal gusto piacevolmente acido, partiamo da questo…
Come prima cosa c’è da dire che l’Agrì di Valtorta al momento è prodotto per autoconsumo familiare in alcune case, e commercialmente in un unico caseificio, la Latteria sociale di Valtorta, ed è da poco anche tutelato come “presidio” dallo Slow Food, quindi… un prodotto di nicchia, a dir poco!
Parliamo di uno dei non tantissimi formaggi (vaccini) dal gusto “acidulo” in circolazione nella penisola, quindi è bene spiegare un po’ in dettaglio cosa è, e come è fatto questo Agrì di Valtorta.
Esteriormente è un formaggio di piccolo formato dall’aspetto quasi cilindrico, prodotto unicamente con latte vaccino intero a pasta cruda, con una tecnica abbastanza particolare.
Si, cari lettori gastrodeliranti, fare l’agrì non è faccenda semplicissima, ci vogliono almeno tre giorni, e cosa più importante, un casaro che conosce molto, ma molto bene il suo lavoro.
Si parte dal latte crudo, mantenuto alla temperatura oscillante tra i 12 e i 15 gradi, al quale viene inoculato un tocco di siero acido conservato dalla lavorazione precedente, addizionato con una piccola dose di caglio di vitello.
In questo modo la coagulazione è abbastanza lenta – all’incirca 24 ore.
Dopo, e il più delle volte per un altra giornata, si fa’ “sgrondare” la massa ottenuta, appendendola per mezzo di teli di lino, lasciandola così spurgare.
Terminata questa fase, la cagliata (molto acida) viene lavorata a mano aggiungendo sale, e modellando dei cilindri di qualche centimetro di diametro e di circa 50 grammi di peso, che vengono lasciati ad asciugare alcuni giorni. A questo punto, l’Agrì è pronto per essere gustato – fresco è buono, anche se olfattivamente e gustativamente da’ il meglio di se consumato tra gli otto e i quindici giorni dalla produzione.
Sapore dolce, aromatico, e profumo delicato.
La pasta è bianca e soffice nel formaggio fresco, ma diventa più compatta in quello stagionato, ed è sempre priva di occhiatura.
La crosta, inesistente in quello fresco, si sviluppa con la stagionatura, assumendo colori variabili dal giallino al grigio più o meno carico.
In tempi dove i banchi della grande distribuzione organizzata (GDO) rigurgitano di formaggi, magari ammiccanti dal punto di vista coreografico, dove però non sempre qualità e sapore vanno a braccetto, scovare un formaggio dal sapore nello stesso tempo deciso e delicato, e oltretutto prodotto con una “filiera” davvero corta, sembra un miraggio.
Personalmente trovo l’Agrì di Valtorta buono da mangiare semplicemente così come è, fresco o stagionato che sia, magari con il canonico pezzo di pane, ma per chi è in vena di sperimentazioni sensoriali, il mio consiglio “gastrodelirante” è quello di accostarlo con un qualcosa da bere che viene molto da lontano… vale a dire dal Belgio – cioè con una buona birra a “fermentazione spontanea” Lambic… assaggiare per credere!
A me piace.
Latteria Sociale Valtorta Società Agricola Cooperativa
Via Roma,5
24010 Valtorta
Tel. 0345 87770
Mail: latteriavaltorta@gmail.com
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Con piacere vedo che non sono il solo ad apprezzare questo formaggio, poco conosciuto.
Difficile però trovarlo fuori dalla Val Brembana però… nonostante il presidio slowfood
ottimo formaggio l’agrí,
il solo problema é la sua reperibilità. se non ci si arrampica a Valtrorta bisogna sapere dove andare, e non sempre lo si trova…