Di Fabio Riccio
Ci siamo quasi… anche in questo autunno 2013 via libera alla vendita del vino novello con circa una settimana di anticipo (come nel 2012) rispetto a quella che era la data “canonica” del 6 di Novembre. Il 30 ottobre 2013 si potranno finalmente stappare le bottiglie di Novello Made in Italy come da calendario fissato per decreto.Quindi… via libera anche a tutte le poco credibili “tipiche sagre”(?) del vino novello in piazze, paesi e centri commerciali, logicamente con le obbligatorie castagne, che nella maggioranza dei casi con il novello non c’azzeccano poi tanto dal punto di vista del gusto. Però, se questa affermazione vi lascia perplessi, fate i bravi e leggete fino in fondo l’articolo, e chissà se capirete il perchè dei miei dubbi a riguardo.
Prima di tutto, saltiamo a piè pari tutti i luoghi comuni e le leggende metropolitane (e non), e vediamo di chiarire cosa è in realtà il vino novello.
Il Novello non è assolutamente il vino “nuovo”, vale a dire il primo vino fresco fresco di stagione, ma è un vino “particolare” ottenuto con il metodo della “macerazione carbonica” che è cosa ben diversa dal normale procedimento di vinificazione che tutti più o meno conosciamo.
Non sapete che diavoleria è la macerazione carbonica? Beh… un bel copia/incolla della pagina di Wikipedia a riguardo aiuta a schiarire le idee… Se poi non vi va di rovinarvi gli occhi leggendo le note vergate in un misto tra burocratese e linguaggio da “iniziati”, beh… saltate i paragrafi scritti in rosso e andate avanti.
“La macerazione carbonica è una tecnica di vinificazione utilizzata per la produzione di un vino chiamato Beaujolais nouveau in Francia e, in seguito al d.m. 6-10-1989, Vino novello in Italia.
La tecnica consiste nel mettere grappoli di uva interi, intatti, non diraspati, per un tempo variabile da qualche ora a più giorni, dentro un serbatoio ermetico saturo di anidride carbonica. Si produce in questo modo una fermentazione alcolica intracellulare a carico degli zuccheri dovuta all’assenza di ossigeno che costringe le cellule dell’uva a passare al metabolismo anaerobio.
Durante la macerazione si ha la trasformazione degli zuccheri in alcol etilico (al max 2° alcol), un consumo elevato di acido malico, poiché la cellula continua la sua respirazione (ciclo di krebs) consumando l’acido malico presente nelle cellule, in più si ha un alto grado di glicerina (19-20%), a differenza di una normale fermentazione alcolica (8-9%). L’uva viene quindi lasciata a macerare in contenitori dove l’aria è sostituita da anidride carbonica (si potrebbe usare anche azoto, elio oppure argon, che hanno però costi molto elevati) per un tempo che varia dai 7 ai 20 giorni ad una temperatura di circa 30-35°. Durante questo periodo l’alcol estrae dall’interno tutte le sostanze aromatiche della polpa e dell’epidermide. Lo schiacciamento progressivo dell’uva sotto il proprio peso, facilitato dall’indebolimento della buccia, libera gradualmente del liquido nel serbatoio. Al termine di questa fermentazione si completa la pigiatura dell’uva e si lascia che l’eventuale residuo zuccherino venga trasformato in alcol nel modo convenzionale.
Il vino ottenuto con questa tecnica è caratterizzato da sentori fruttati, da morbidezza ed armonia di gusto. Normalmente si ottengono vini con livelli tannici molto bassi, subito pronti da bere, privi della struttura necessaria per l’invecchiamento.
Il metodo tradizionale di produzione in Francia prevede che il 100% del vino contenuto in una bottiglia di Beaujolais Nouveau sia prodotto con il metodo sopradescritto, utilizzando esclusivamente uve Gamay.
La legislazione italiana, molto meno restrittiva, richiede, affinché il vino ottenuto possa definirsi novello, che almeno il 30% delle uve abbiano subito la macerazione carbonica, e che il restante 70% possono essere trattate con tecniche di vinificazione classiche. L’ampia discrezionalità concessa ai produttori rende possibile trovare in commercio novelli con una percentuale di vino ottenuto da macerazione carbonica variabile dal 30 al 100%. Tra Italia e Francia ci sono, inoltre, altre due differenze rilevanti:
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i vitigni utilizzati per questa tecnica sono nel nostro paese 60, dei quali 7 cosiddetti internazionali;
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la data d’inizio più vicina alla vendemmia per la commercializzazione è in Italia il 6 novembre dell’annata di produzione delle uve utilizzate, come dai D.M. del 10/11/1979 e 06/10/1989, mentre secondo la legislazione francese è il terzo giovedì di novembre.
È errore comune confondere il vino nuovo con il vino novello prodotti invece distinti perché ottenuti con metodi di vinificazione diversi”
C’è da aggiungere che in seguito al decreto del 13 agosto 2012 e del suo allegato N° 7, qualcosa è cambiato un pochino in meglio per il novello in Italia.
Allegato 7 – Disposizioni per la produzione, la COMMERCIALIZZAZIONE E
L’IMMISSIONE AL CONSUMO DEI VINI A DENOMINAZIONE DI ORIGINE E AD
INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA DESIGNATI CON LA MENZIONE
TRADIZIONALE “NOVELLO” O “VINO NOVELLO”
1. Disposizioni generali – Termini per l’immissione al consumo
1.1. Soltanto i vini a denominazione di origine e ad indicazione geografica tipica, per i quali negli
appositi disciplinari di produzione sia stata espressamente prevista la tipologia «novello», possono
utilizzare la stessa menzione “Novello” o “vino novello” nella propria designazione e presentazione
dalla data di immissione al consumo, a condizione che i prodotti siano confezionati entro il 31
dicembre dell’annata relativa alla vendemmia da cui derivano le uve utilizzate per la loro
produzione ed abbiano acquisito tutte le specifiche caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche
previste nei relativi disciplinari di produzione nella rispettiva zona di produzione e/o vinificazione.
1.2. La data di immissione al consumo, qualora non sia espressamente previsto nei disciplinari di
produzione di cui al comma 1 un termine successivo, è fissata alle ore 0,01 del 30 ottobre
dell’annata di produzione delle uve dalle quali i vini di cui trattasi derivano.
2. Norme di elaborazione e caratteristiche specifiche del prodotto
2.1. Il periodo di vinificazione non può essere inferiore a giorni dieci dall’inizio della vinificazione
stessa.
2.2. Le partite dei vini “novelli” devono essere ottenute per almeno il 40% mediante il processo di
fermentazione con macerazione carbonica dell’uva intera.
2.3. Il titolo alcolometrico volumico totale minimo al consumo non può essere inferiore all’11% ed
il limite massimo di zuccheri riduttori residui non deve superare i 10 grammi per litro.
3. Norme di etichettatura, presentazione e commercializzazione
3.1. La qualificazione “novello” o “vino novello” deve essere riportata su tutti i documenti ufficiali
e/o commerciali e nei registri tenuti dalle ditte che li producono o li commercializzano.
3.2. Per i vini “novelli” estratti dagli stabilimenti di confezionamento anteriormente alla data del 30
ottobre dell’annata di produzione delle uve sui documenti che accompagnano il trasporto deve
essere riportata la dicitura “da non immettere al consumo prima delle ore 0,01 del 30 ottobre …
(indicare anno) …”.
3.3. I vini «novelli» nella loro designazione e presentazione devono fare riferimento all’annata di
produzione delle uve.
3.4. E’ vietato utilizzare la menzione “novello” o “vino novello”, nonché i termini “giovane”,
“nuovo”, o altre indicazioni similari, per vini non aventi diritto all’uso della menzione “novello”,
ovvero non rispondenti alle caratteristiche e condizioni di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente
allegato.
Alla fine, se siete ancora qui a leggere, dopo tutta ‘sta tiritera, meritate un premio e così vado (spero) dritto al punto: ma in parole povere, cosa c’è dentro il novello???
Non è una domanda a trabocchetto, e la risposta è davvero banale, scontata. Nel novello c’è solo uva, ma come già detto, vinificata in maniera diversa dai vini chiamiamoli… tradizionali.
Tralascio qui l’ignoranza della stragrande maggioranza dei consumatori italiani che, per molteplici e talvolta misteriosi motivi continua ad associare scorrettamente il novello al “vino nuovo”. Più di una volta mi è capitato di ascoltare funamboliche invenzioni di tanti baldi ragazzotti presunti esperti di vino (ma anche del mio amico Barilotto) che per farsi belli, “sparano” baggianate indicibili del tipo… “mio nonno faceva già il vino novello”; un mio cugino in toscana è un esperto di vini novelli è mi detto che quelli americani sono i migliori, e quelli francesi non servono (sic) etc etc…
Invece andiamo per brevi punti, e cerchiamo di capire un minimo in dettaglio che cosa è il novello.
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Il novello è un vino “inventato”. A chi non mastica molto di enologia questa cosa sembra strana, ma vi assicuro che è impresa un po’ difficile farsene qualche damigiana con metodi artigianali (i famosi vini da garage del mio amico Antonio V.). Principalmente perché per farlo con tutti i crismi, ci vogliono investimenti di denaro non proprio piccoli per dotarsi di autoclavi e cisterne stagne, e di macchinari per produrre anidride carbonica etc etc… Le aziende che hanno investito in queste attrezzature, non sono poi tantissime in Italia.
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Il novello è un vino che però viene prodotto in maniera molto rapida, (vedere sopra cosa spiega Wikipedia) – in poco più di un mesetto è già bello e pronto, e una volta ammortizzate le spese per le varie attrezzature da cantina, produrlo non costa molto di più di un discreto vino, vista la “rapidità” del procedimento.
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Il novello, va bevuto il più presto possibile dopo la produzione. Questo non perchè dopo diventa “non potabile”, anzi, ma semplicemente perchè le sue doti di freschezza e di gusto ammiccante sono decisamente effimere, trasformandolo nel giro di massimo qualche mese in un normalissimo vino, più o meno buono.
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Il Novello in termini economici è un buon affare: per tanti produttori è il sistema più rapido per trasformare in poco tempo i grappoli in… denaro contante.
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Il novello almeno qui in Italia, punta a una fetta di mercato di consumatori non troppo esperti di vino – dal punto di vista olfattivo e gustativo è sicuramente un vino “di facilissima beva”, quindi adatto a chi a un vino chiede sensazioni “semplici” e non troppo complesse per il palato.
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Il novello Italiano però in parecchi casi è solo una brutta copia del suo “cugino” d’oltralpe, il ben più famoso Beaujolais, che pur se prodotto con analogo procedimento, forte di un disciplinare di produzione dalle maglie ben più strette di quello nostrano, mostra da subito una buona personalità, con sapori e sentori decisamente marcati.
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Allora… i cugini d’oltralpe da grandi esperti di commercializzazione quali sono, hanno creato un disciplinare di produzione molto rigoroso ma semplice nello stesso tempo. Prima di tutto la zona di produzione è decisamente ristretta, poi è permesso l’uso di un solo vitigno. Scelte queste non sono solo “tecniche”, ma sono dettate da precise ragioni di marketing.
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Il disciplinare italiano, o forse sarebbe meglio dire “all’Italiana”, non pone limiti alle zone dove le uve possono essere allevate.
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Il disciplinare Italiano permette l’uso di ben 60 vitigni! (alla faccia della peculiarità del prodotto!)
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Le maglie eccessivamente “larghe” del disciplinare Italiano, non certo favoriscono la specificità del prodotto finale (il novello), che pur se vinificato seguendo scrupolosamente i dettami del disciplinare, sarà ben diverso a secondo delle uve impiegate, creando una “babele” di tipologie e gusti, che non può che confondere il consumatore, ma anche l’appassionato che ha qualche nozione di enologia.
Ma non è tutto… sempre spulciando tra le righe che ho evidenziato sopra, si scopre che in Italia può fregiarsi legalmente del “titolo” di vino novello qualsiasi vino (dal 13 agosto 2012 questo vale solo per certi DOC e IGT che nei loro disciplinari prevedano espressamente che la tipologia può essere anche usata per produrre Novelli) che abbia al suo interno una percentuale di novello del 40% (prima del fatidico 13 agosto 2012 era ancora peggio: il 30%).
In breve… non basta che il Novello è un qualcosa che (in mia opinione) con il vino ha una consanguineità ancora da analizzare a fondo. Non basta che in Italia lo si può produrre con ben 60 vitigni molto diversi tra di loro, (vitigni magari ben poco adatti alla macerazione carbonica) e quindi con almeno 60 risultati diversi nel bicchiere, ma dulcis in fundo… se solo il 40% del contenuto di una bottiglia di novello è vino novello frutto di macerazione carbonica, il restante 60% cosa è?
Tralascio le aziende serie (ci sono per fortuna!) che non sfruttando le maglie larghe del disciplinare italiano, ci mettono la faccia e imbottigliano novello al 100%, cercando di dare dignità al prodotto. Purtroppo invece, una non trascurabile parte del mercato nazionale è nelle mani di chi cavalcando l’onda (discendente negli ultimi anni) della moda del novello, si insinua abilmente e disinvoltamente nelle maglie “larghe” del disciplinare, mettendo in commercio prodotti che non sono ne’ carne ne’ pesce…
Alcuni produttori vedono il novello come una ghiotta occasione per “svuotare” i loro magazzini dal vino (anche IGT e DOC) invenduto degli anni precedenti. In pratica, “sbolognano” del vino comune che dormiva nei loro depositi invenduto (eufemismo) che altrimenti rischiava di andare in distillazione, inventandosi produttori di Novello.
Questi signori fatti due conti, comprano da altre aziende del vino novello fatto regolarmente mediante macerazione carbonica, e mischiando questo con il vino di cui dicevo prima, inventandosi un loro novello, poi imbottigliato con tanto di regolamentare etichetta, dove non è obbligatorio scrivere quale è la percentuale di vino frutto di macerazione carbonica. Per carità, il tutto è assolutamente legale, ma dal punto di vista del gusto, e della salvaguardia del consumatore trovo la cosa molto discutibile.
Alla fine di tutta questa “tirata”, voglio raccontare un aneddoto su una dichiarazione udita qualche anno fa’ da un (mediamente noto) sommelier professionista che, con tanto di divisa & Tastevin appeso al collo, aprendo e degustando un novello di… diciamo non chiara progenie, si lanciò in sperticate lodi sul “corpo e l’imponente struttura di questo vino”. Il mio primo pensiero fu’ il classico “ma ci fa’ o ci è?”.
Di questo vino… il corpo forse si’, era presente nel bicchiere, ma di certo non arrivava dal 40% (all’epoca 30%) di vino fatto mediante la macerazione carbonica. Ma… a questo signore “chi gli ha dato la patente” (e aggiungo, anche la divisa & il Tastevin?)
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Pero’ in questo autunno 2013 di sagre di novello ne ho viste molte meno… e’ la crisi, oppure la gente si é stufata di questa che secondo me é piu’ una bibita che un vino vero e proprio?