Di Fabio Riccio,
Partiamo da questo: mi piace, e anche molto, chi si presenta come agricoltore.
Ma… non mi piace per nulla una certa moda “buonista” che vuole affibbiarci un idilliaco ritorno alla terra etc etc, e tutte le belle leggende di quando i mulini erano bianchi.
Questa moda, purtroppo, tesse troppo spesso le lodi solo di “certi agricoltori”, gente che in realtà non ha mai messo i piedi nel fango, oppure potato una vite. Di questi, ne ho piene le tasche!
La terra, anche se condotta con moderni mezzi e tecnologia, è sempre sporcarsi le mani, fisicamente intendo.
Così… lo scoprire che un giovane si definisce agricoltore, e che lo fa veramente, e per di più in una regione non proprio facile, come la Calabria, non può che incuriosirmi e farmi molto piacere.
Partiamo da questa ipotesi…
Ho incrociato Giuseppe Calabrese della omonima azienda agricola a Naturale 2016 in quel di Navelli (AQ), e li’ ho assaggiato i suoi vini.
Dopo l’assaggio, semplicemente ho deciso di portarmene qualche bottiglia a casa.
Il tutto nell’ottica di studiarmele meglio lontano dalla (piacevole però!) baraonda del bel pubblico di Navelli.
L’occasione arriva subito…
Organizzo una cena casalinga con un amico cuciniere – si: ho un personale cuciniere a domicilio! – a base di pesce volante del baltico (per chi non lo sapesse, è il Baccalà).
Cena buona, molto, e bagnata come prima bottiglia proprio dal Bianco 2015 Giuseppe Calabrese.
Prima del veloce assaggio a Naturale 2016 non sapevo nulla di questo vino.
Ma anche, e specialmente casa, e sempre nell’ottica di approcciarmi a un vino prima di tutto in maniera emozionale, e dopo tecnica, anche di questo vino non voglio saperne nulla in anticipo.
Voglio che i miei sensi siano come un foglio bianco…
Al primissimo assaggio “a pelle” di Navelli mi era piaciuto. Stop.
Basta & abbonda.
E così… si stappa il Bianco 2015 Giuseppe Calabrese.
Forse non tutti i lettori gastrodeliranti lo sanno, ma il più bel posto che conosco per degustare vino, è la cucina di casa mia (ma anche la sala non è male).
E’ li che ho la giusta dimensione.
E’ li ho la mia sedia, il mio cavatappi preferito e tutte le mie cose.
E’ li che ho anche i miei calici, che spesso frantumo nel lavarli maldestramente…
Non amo le degustazioni seriali con i direttori d’orchestra che mi impongono come assiomi le (loro) sensazioni di cosa e come devo sentire, invece di aiutarmi o instradarmi al gusto…
Non amo le verità precostituite.
Il palato (e il naso) è mio, e me lo gestisco io!
Nel calice un bel giallo, mediamente carico, non luccicante, a tratti opalescente, quasi oleoso.
Nei piatti pasta con baccalà, capperi, olive e pomodori vari.
In tavola la giusta allegria.
Si parte.
Porto il calice al naso.
Volatile.
Urca! Si proprio lei, la temutissima acidità volatile…
C’è: inutile negarlo.
E’ percepibile, chiaramente.
Ma… lasciamo tempo.
Per fortuna a casa non è persona grata il noto “Somellier Acca” (quello che di vini non capisce una Acca, appunto) altrimenti, in questo caso, sarebbe corso a cercare il suo strumento preferito, alias il lavandino, dove smaltisce tutte le bottiglie che nella sua arida ricerca della perfezione, trova non… perfette sin dal primo istante.
Un po’ di volatile non mi spaventa.
Anzi: qualcuno, senz’altro più bravo del sottoscritto, ha collegato la presenza percepibile dell’acidità volatile anche da un naso non addestrato, all’uso di lieviti indigeni.
Dalla mia piccola esperienza nel campo, credo abbia ragione.
I lieviti indigeni mi sono simpatici.
Per chi non lo sapesse, i lieviti indigeni, sono quelli che mamma natura spande munifica sulle bucce dei frutti del nostro vegetale preferito, la Vitis vinifera.
Sono anche loro (uso un linguaggio terra terra…) che durante le varie fasi dei processi che trasformano il succo d’uva fermentato in vino vero e proprio, quelli che danno un forte “imprinting” territoriale al vino… buoni o cattivi che siano, almeno secondo un certo tipo di enologia…
Aspetto ancora.
Il vino è anche calma e riflessione.
Chi ha fretta, beva altro!
La volatile, fa i comodi suoi con calma, poi, con una fuga “all’inglese”, sgombra (quasi) completamente il campo, e finalmente viene fuori il vino, prepotentemente.
Che vino ragazzi!
Già al naso naso approda subito limpido e netto un vero e proprio cazzotto di floreale e fieno, con in sottofondo un esile tocco di asfalto caldo, che movimenta il tutto e stuzzica i sensi.
Ma non è tutto.
Pochi minuti, e il ventaglio olfattivo di questo vino si amplia ancora, perché nel calice letteralmente deflagrano note di frutta secca e di agrumato, il tutto nel giusto sentore alcolico, e quel minimo di volatile rimasto e percepibile, non lo trovo affatto un difetto!
A questo punto è il momento di consegnare il Bianco 2015 Giuseppe Calabrese anche al palato, il mio, ma non solo…
E’ il momento di collegare inscindibilmente i sensi al cuore.
O la va, o la spacca!
Inizia la festa in bocca, anche.
Corpo degno di nota per un bianco, ma anche tanta freschezza, un bel dolce quasi di pesca condito con un tocco di acidità che sfuma quasi nel citrico.
Aggiungeteci anche l’amaro quasi quasi da pino che gironzola sulla lingua, e il sentore di macchia mediterranea che arriva dal naso e si combina al palato, ed è subito Bingo!
Mi piace!
Molto.
Non è un vino semplice, affatto.
E’ un vino complesso e con più sfaccettature, ma nello stesso tempo piacevole e beverino, almeno in mia opinione.
Il Bianco 2015 Giuseppe Calabrese è un vino che smuove al punto giusto le recondite corde della piacevolezza, e al diavolo la tecnica e fatemi dire che un bel finale, lungo e persistente così, non capita spesso…
Incomincio a pensare di volerne una batteria di magnum, oppure… un secchio!
Tra un boccone di pasta e baccalà, le obbligatorie “scarpette” per ripulire la padella, e altri calici del Bianco 2015 Giuseppe Calabrese, che non dimentichiamolo è prodotto in una azienda agricola, inizio a rammentare una tracotante signora sommelier milanese dai troppi lifting, mia vicina di sedia.
La sciura, che partecipava come me a una manifestazione meneghina dove erano presenti tra le altre cose (appunto…) degli ottimi vini di una bella azienda agricola pugliese, rifiutava per partito preso di assaggiarli.
– “ma cosa vuole che facciano le aziende agricola…” – sproloquiava con aria altezzosa
Viste le mie insistenze, e forse per un impeto di cortesia, la signora finalmente osa mettere le sue preziose labbra (siliconate) sull’agricolo calice di rosso e… qui la sorpresa:
– ma come è possibile che una azienda agricola faccia un così buon vino come questo…
Così… immagino questa signora alle prese con il Bianco 2015 Giuseppe Calabrese, Azienda agricola… forse avrebbe avuto la stessa reazione, forse le si sarebbe rotto il tacco 12, oppure, chissà… sarebbe saltato qualche lifting!
Ora, appurato che questo vino mi piace e anche molto, dovrei raccontarvi qualcosa anche dal punto di vista tecnico, visto che in rete non c’è poi troppo materiale.
Beh… allora preferisco farlo fare alla semplice e lineare brochure dell’azienda…
Faccio notare ai lettori che l’azienda lavora in maniera assolutamente “pulita” sia in vigna che cantina, producendo poche, pochissime bottiglie prodotte, ma è notevole anche il bel risultato dell’anidride solforosa totale, 25mg/l.
Non solo la piacevolezza, ma numeri alla mano, anche salubrità, per questo buon vino!
Azienda agricola Giuseppe Calabrese
Via Santa Maria Maddalena
Saracena (Cosenza)
Tel. 340 6023820
info@giuseppe-calabrese.it
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?