Di Serena Manzoni,
Sono sicura che anche a voi sarà capitato di aprire il fatidico sportello del frigorifero e intravedere tra un cespo di lattuga e un vasetto di yogurt l’immancabile metà di un limone dimenticato più o meno dal pleistocene… eh sì! Non mentite… quella semisfera quasi irriconoscibile avvolta da uno strato verdastro a tratti rugosamente bianco è un’immagine familiare ad una buona media di persone tra quelle che possiedono un frigorifero.
Insomma, polvere siamo e polvere ritorneremo, ma quanta vita tra uno stadio e l’altro della fine: putrefazione e marcescenza, batteri e vermicelli, muffe e chi più ne ha più ne metta. Forse, anche un’artista che fino a poco tempo fa non conoscevo e di cui vi voglio dire, si è ispirato per le sue opere e per le sue riflessioni a quel mezzo limone scordato tra le scorte alimentari di casa…
Si tratta di Michel Blazy, francese di Monaco ma vive a Parigi, faccia simpatica, classe 1966. Nella sua fare arte il materiale organico diventa artefice del mutamento dell’opera, artista esso stesso: quadri realizzati con crema da dessert industriale e cioccolato (pare che la crema sia stata assaggiata dai topi, un po’ come era successo alle opere di Daniel Spoerri in una galleria milanese), muri che vengono trattati con una soluzione di acqua e agar agar che si scrostano e si fanno cretti grazie all’intervento della temperatura e dalla luce circostante, vasche di tè fermentato che sviluppano forme e rapporti cromatici e materici in continuo mutamento.
E’ un’arte che parla del tempo e in fondo della piccolezza dell’uomo e dell’artista che innesca dei processi difficilmente controllabili, metamorfosi vitali a tratti un po’ inquietanti. Probabilmente il sottile perturbante generato dalle opere di Michel Blazy sta proprio nell’avere un aspetto non controllabile, non gestibile.
In una sua istallazione un pezzo di muro viene “dipinto” con acqua e purea di carote e di patate: ecco che la vita fa il suo corso, proliferano microorganismi e camminano le muffe, l’arte si fa processo evolutivo spontaneo, l’arte si fa odore e consistenza, movimento. Lo spettatore probabilmente ne rimane un po’ ammaliato e allo stesso tempo disgustato, a tratti credo impaurito dalla possibilità di una degenerazione del mutamento, forse impaurito dall’idea di una sorta di contaminazione. Cosa può fare se non assistere? E poi, in fondo, lo spettatore il più delle volte non assiste inerme a quanto gli viene proposto?
Interessante anche il fattore tempo, e come non poteva esserlo in un lavoro che si occupa della vita? Quello che vedete nel momento in cui visitate la mostra non è più tale un attimo dopo, il giorno dopo, un mese dopo magari non c’è più: è un arte che si consuma, effimera. Arte difficilmente collezionabile: Michel Blazy fornisce delle indicazioni sulla conservazione di alcune sue opere ma certe sono destinate necessariamente al deperimento e alla scomparsa. Del resto, riuscite a immaginare pile di arance spremute e ammuffite impilate come torri di cattedrali barocche o guardiane di mondi immaginifici in bella mostra nel vostro salotto?
Nelle opere dell’artista francese alimenti e vegetali dialogano con oggetti della vita quotidiana: scarpe che diventano giardini in miniatura, indumenti e computer, tecnologia e materiali organici che intessono un dialogo e creano complementarietà inaspettate: a farli incontrare, a mettere in moto questa conversazione ci pensa l’artista. Tutto è parte di un sistema complesso, dove ogni elemento partecipa in qualche modo della stessa condizione di esistenza. In un’intervista a Elena Bordignon Michel Blazy afferma:
“Io vedo il mondo del vivente come un grande tutto. Non c’è distinzione tra natura e cultura, tra l’uomo, gli animali e le piante. Anche le cose che gli uomini producono fanno parte di un grande insieme a cui tutto ritorna, con cui tutto si mescola. Cogliere questa unità è ciò che più mi interessa fare attraverso il mio lavoro.”
Fino al 10 di aprile 2016 al MAN Museo d’Arte Provincia di Nuoro è in corso Living Room, mostra personale di Michel Blazy inserita in un percorso molto interessante sul cambiamento del pensiero ecologico intrapreso dal Museo della cittadina sarda: ancora pochi giorni quindi per avere l’opportunità e il piacere di visitarla!
Serena Manzoni
Artista interessante e provocatorio…
Peccato che Nuoro è davvero fuori mano, altrimenti un salto alla mostra era d’obbligo.