Di Fabio Riccio,
Non sono un gran bevitore dei vari “dolcetti” piemontesi…
Non perché non mi attirino, anzi, ma semplicemente perché a parte qualche etichetta ipercommerciale che non nasconde di essere alla ricerca del chimerico “superdolcetto”, di dolcetti buoni in giro non se ne vedono mica tanti…
Così, quando in una fornita enoteca mi è capitata sotto gli occhi una bottiglia di Dolcetto di Ovada Casa Wallace, ho messo mano al portafoglio e me la sono portata a casa.
Un po’ di giorni, e finalmente arriva la sera giusta per berla…
In tavola una onesta pasta con salsiccia sminuzzata & saltata, in bianco, niente pomodoro, naturalmente.
Pasta & salsiccia a punta di coltello, cena misuratamente hard.
In più, c’è anche quella di fegato, quella dai bei sentori dolcini…
Si: è la giusta occasione.
Stappiamo il Dolcetto di Ovada Casa Wallace 2011.
Qualche minuto per farlo rianimare.
Niente decanter, negli ultimi tempi sto rivedendo il mio approccio vetrario nell’assecondare le evoluzioni di un vino.
Preferisco un buon calice, uno di quelli giusti.
Il primo assaggio, quasi un arrembaggio, è di Serena, che subito sentenzia: è vinoso, tremendamente vinoso.
La seguo nell’assaggio.
Il colore è un rosso rubino pieno, bello, rassicurante direi.
Un che di ridotto – non è un peccato mortale, almeno per me.
Al naso frutta rossa matura e tanti fiori, rosa, ciliegia e violetta principalmente, ma anche un chiaro sentore di mandorla quasi da colla in barattolo metallico anni ’60 del secolo scorso, raro ma non l’unico in un rosso.
Al palato il Dolcetto di Ovada casa Wallace 2011, pur se un attimo astringente e leggermente amarognolo, è da subito una festa di freschezza, chiaramente figlia dei sentori di frutta, come il percepibilissimo mirtillo, ma è anche terribilmente ammiccante, misuratamente acido, e sfoggia tannini poco invadenti, ma intuibili.
Insomma: semplice, immediato e complesso nello stesso tempo: scusate, non è poco.
Berlo, è un piacere, un gran piacere tutto qui!
La bottiglia finisce subito… magari ad averne un’altra!
Vinoso, senza inutili discussioni, questo aggettivo nella sua accezione positiva qui ci sta proprio bene.
Un vino come questo deve essere bevuto senza masturbazioni mentali, senza puzze al naso (metaforiche qui…) e superflui tecnicismi, perché non si cerca a tutti i costi la madre di tutte le perfezioni. La chiave per comprenderlo nella sua essenza, è insita nella sua grande, grandissima piacevolezza, che te ne farebbe bere secchiate… tutto il resto è solo aria fritta.
Ma… se un Dolcetto di Ovada di questa piacevolezza riesce a colpire al cuore, mi chiedo allora perché tanti produttori si ostinano a voler trasfigurare questo vitigno in un qualcosa che non è, e che non sarà mai?
Perchè si vuole trasformare a forza il gran carattere fruttato e fresco dei vini figli di questo vitigno in qualcosa che non è nelle sue corde?
Non è per caso che c’è in tutto questo una strizzata d’occhio per come bevono oltreoceano, e per i loro potenti Buyers?
Perchè cercare di mutare i connotati di un vitigno (il dolcetto appunto) per tramutarlo in un qualcosa che vorrebbe rivaleggiare un SuperBarolo d’annata o un Moltepulciano d’Abruzzo cannoneggiante?
Per fortuna, non il caso di questo Dolcetto.
A Casa Wallace, hanno i piedi ben piantati per terra, e vedendo i risultati, sanno molto bene quello che fanno e… come lo fanno.
Lavorano in biodinamico, con serietà, e sono ben oltre i vari disciplinari, per fortuna!
E’ tutto un altro Dolcetto…
Pulito in vigna, ancor più “pulito” in cantina, pulito nel calice…
Qualche giorno fa, parlando di biodinamica, avevo scritto un articolo raccontando di un film dove, nelle pieghe di una pur bella e non banale sceneggiatura, i vini biodinamici vengono un (bel) po’ messi alla berlina come eccentricità da fighetti, o meglio dire da eno-fighetti.
Vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/il-vino-biodinamico-e-il-regista-paolo-genovese/2016/03/
Al signor sceneggiatore che ha scritto questo che in mia opinione è un infelice tormentone, mi piacerebbe far assaggiare questo Dolcetto di Ovada casa Wallace, chissà che non cambi idea sui vini biodinamici…
A un vino chiedo di essere semplicemente quello che mamma natura ha deciso che deve essere, niente trucchi e niente belletti.
Da un vino voglio prima di tutto emozioni, e non i lieviti campionati, l’ultima frontiera di certi (pur bravissimi…) enologi superstar che si trastullano a fare i novelli alchimisti.
Da un vino cerco ed esigo prima di tutto la piacevolezza, cosa trascurata da tanti nella sterile ricerca di una inarrivabile eccellenza tecnica.
Alla fine… desidero solo quella piccola e fuggevole felicità che è lo stare bene con in mano un buon calice di vino…
Ripeto, niente perfezione, e se una bottiglia da poco aperta come questa del Dolcetto di Ovada casa Wallace 2011 palesa un leggero indizio di ridotto che però dopo poco svanisce, non vado di sicuro in panico.
A costo di essere crocifisso da chi postula quei pensieri eno-perfettisti, che aleggiano sul mondo del vino Italico, dichiaro qui a chiare lettere che il Dolcetto di Ovada casa Wallace 2011 è uno dei più affascinanti dolcetti che mi è mai capitato di degustare.
Solo assaggiandolo, ma con il cuore aperto ci si rende conto del gran bel lavoro fatto in vigna e cantina…
Sono davvero bravi a Casa Wallace….
Casa Wallace S.S. Agricola
Via Piazze 25, 15010 Cremolino (AL)
Telefono & Fax +39 0143 879 502
www.casawallace.com
casawallace@casawallace.com
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?