Di Fabio Riccio
Le belle sorprese raramente bussano alla porta…
Serata in enoteca.
Prima bottiglia: buona, anche interessante, ma non memorabile.
Ancora fame: e… mica si può mandar giù la coppa di testa con l’acqua o con un vinello qualunque, non credete?
Seconda bottiglia.
Uno degli osti di fiducia, tira fuori qualcosa molto ben celato negli scaffali.
Riserva strategica per clienti esigenti, o bottiglia nascosta per sottrarla alle grinfie dei bevitori impreparati, giusto per tracannarsela in santa pace quando il locale è chiuso?
A questo punto una premessa: apprezzo molto i vini che fanno le “piroette”.
Per piroette intendo l’esser mutevoli olfattivamente e gustativamente in maniera evidente durante l’evoluzione, a bottiglia aperta.
Non mi piacciono i vini sempre uguali, cristallizzati nei loro sentori dall’inizio alla fine…
Insomma, mi piacciono quelli che sono tutto il contrario di certi vini (spesso blasonati) dove l’evoluzione quando c’è, è minima e poco percepibile.
Vini immutabili, anche se li lasci nella bottiglia aperta per giorni.
Tornando alla sorpresa, il primo salto mortale del vino dell’altra sera è stato un sentore che alcuni descrivono come un difetto: la volatile.
La volatile, alias acido acetico, (se non esagera) è spesso indice di fermentazione spontanea con i lieviti presenti sulle bucce, o per meglio dire… senza gli “aiutini” in bustina che tanto piacciono a certi enologi.
Beh… per farla breve, la volatile in eccesso dura un po’ più di quanto dovuto, ma poi esce fuori il vino.
Henry Villemade – Cour-Cheverny Blanc les Acacias
Bottiglia d’oltralpe che arriva dalla Loira, e il vitigno (mai sperimentato prima) è il Romorantin. una sorta di fratello di latte dello Chardonnay (Vedi – https://en.wikipedia.org/wiki/Romorantin)
Una vera sorpresa.
La AOC Cour-Cheverny nel disciplinare prevede l‘utilizzo di solo Romorantin. Punto.
Al calice esordisce un giallo paglierino con un qualcosa di luccicante, colore che mi seduce, mi da fiducia.
Una volta passata la sfuriata della volatile, arrivano netti ma lievi i profumi di frutta gialla e di acacia.
Mi sembra tutto troppo semplice – c’è bisogno di altro tempo.
Anche con i vini come con gli umani, la vera personalità la si scopre solo dopo un po.
E così, tempo al tempo, e con l’aiuto di qualche boccone di coppa di testa con senape, il naso mi comunica fiori di acacia, note grasse quasi da latteria, e di tocchi di limone, che esaltano e scindono il sentore gessoso che aleggia in sottofondo. Interessante
C’è ancora bisogno ancora tempo, certi vini non sono fatti per chi ha fretta, non è un vino per “serial taster” degustativi questo…
Ma è in bocca, con l’ennesima piroetta, che si nota la tangibile e affascinante dicotomia tra naso e palato.
Frutta si, e anche tanta, ma i riflettori sono per la mineralità che letteralmente esplode, coprendo a seconda dei momenti i sentori di resina e di incenso che non capisco bene come, si mescolano all’alcool, rammentandomi (e qui qualcuno mi prende per matto) certe sensazioni quasi da Ratafia.
L’acidità va a bomba, così come la sapidità.
Il Cour-Cheverny Blanc les Acacias non è vino per chi non ama le sensazioni forti, o per chi adora e incensa i “vinelli sciuè sciuè” da pasta & vongole che tanto predilige il famoso sommelier “AccA”
Ma non è solo forza o mineralità, c’è anche una innegabile morbidezza che riequilibra la struttura verso la piacevolezza, che però merita senza dubbio l’aggettivo “imponente”.
In bocca dura & persiste tanto, con un finale salino che regge anche le cannonate sensoriali della senape, e il sapido della coppa di testa che, non ho smesso di addentare durante tutte le piroette di questo vino.
A differenza di molti bianchi, nel Cour-Cheverny Blanc les Acacias curiosamente le note agrumate non si palesano dal primo sorso, ma si nascondono e si integrano con i profumi dei frutti a polpa gialla.
Il Cour-Cheverny Blanc les Acacias è un gioco di specchi che ci ritroviamo in bocca, perché ogni indizio rimanda all’altro interconnettendolo, e salinità e mineralità schematizzano uno spartito gustativo ampio e molto complesso.
Come per certi direttori d’orchestra solo esteriormente scostanti, nel Cour-Cheverny Blanc les Acacias è l’acidità che fa il lavoro sporco alle spalle del pubblico, mentre la sapidità si piazza sotto i riflettori, prendendosi gli applausi…
l’ultimissima piroetta è a tempo ormai scaduto…
A bottiglia ormai terminata, e a temperatura perfetta, spunta fuori, intriga e stimola un leggero fondo di idrocarburi. Bello.
La festa e la bottiglia finiscono, peccato che non ce ne sono altre…
Hervé Villemade e sua sorella Isabelle nel 2001, passano dall’agricoltura convenzionale a quella bio (certificazione Ecocert – simile alla certificazione BIO Italiana, ma in più punti ben più stringente –
Vedi – http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:071:0042:0047:FR:PDF ), ma vanno oltre, e scelgono di vinificare senza additivi, anche per il Romorantin Cour-Cheverny Blanc les Acacias.
In cantina niente o quasi, alias solo quei pochissimi milligrami di SO2 solo quando serve.
Mi basta sapere questo: nel patto fra gentiluomini che dovrebbe regolare i rapporti tra chi il vino lo produce e chi lo consuma, mi devo fidare. Stop.
Ulteriori info http://www.villemade.net/ (in francese)
Hervé Villemade
97 Rue Moulin Neuf, 41120 Cellettes –
Tél. : +33 2 54 70 41 76 – Fax : 02 54 70 37 41
Il Cour-Cheverny Blanc les Acacias in Italia lo distribuisce il bravo Sarfati e per chi ne vuol sapere ancor di più “tecnicamente” vedi – http://www.sarfati.it/v-Herv%C3%A9_Villemade (in italiano)
www.sarfati.it
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?